Durante la partita Genoa – Siena dello scorso aprile, sul punteggio di 4 a 0 per i toscani, gli ultras genoani impongono ai calciatori di interrompere la partita. Beppe Sculli, calciatore dei grifoni, si fa mediatore con i suoi tifosi e impone ai compagni di squadra di levarsi la maglia.

Nell’atteggiamento di Sculli, che in quel momento si è inserito in un vuoto lasciato dallo Stato, Gianfrancesco Turano, autore del libro “Fuori gioco. Calcio e potere. Da Della Valle a Berlusconi, da Preziosi a Moratti. La vera storia dei presidenti di Serie A”, vede la “nascita del sistema mafioso”.  E d’altra parte, come aggiunge lo stesso giornalista de L’Espresso, “nel calcio c’è oggi un livello di omertà che non esiste nemmeno nelle organizzazioni criminali”.È qualcosa al di sopra della legge”, gli fa eco Francesco Ceniti, cronista de La Gazzetta dello Sport che ha realizzato il volume “La nazionale contro le mafie. Rizziconi/Italia. Storia di una partita speciale”, che aggiunge: “Il calcio è divenuto uno strumento di consenso utilizzato dai presidenti, dagli ultras e anche dalle cosche mafiose”.

In tutto questo “nero” che si cela dietro al verde dei campi da gioco, i calciatori, anche quelli più blasonati,  spesso non costituiscono un corpo estraneo, ma sono essi stessi protagonisti del malaffare. “Se uno guadagna 500mila euro al mese – sottolinea Turano – e ha un patrimonio immobiliare di 40 milioni di euro, come nel caso del capitano della nazionale Gianluigi Buffon, che per altro dovrebbe rappresentare un esempio per i più giovani, non può permettersi di tenere degli atteggiamenti sospetti. Nel caso fosse colpevole contro di lui bisognerebbe avere la mano pesante”.