Don Vittorio Dattilo

«Gesù ci ha dato il Vangelo di libertà e una vita cristiana deve essere libera. Laddove questo non succeda, noi preti dobbiamo intervenire, soprattutto in terre come le nostre in cui legalità e illegalità si intrecciano in modo forte».

È questo il messaggio lanciato da Don Peppino Gambardella, e condiviso da Don Vito Dattilo e Don Pino De Masi, nel corso dell’incontro LA CHIESA NON TACE CONTRO LE MAFIE tenutosi a Palazzo Nicotera e moderato dal giornalista Franco Papitto. I tre sacerdoti, ognuno sul proprio territorio, combattono ogni giorno contro le mafie.

Don Gambardella opera a Pomigliano d’Arco (Na), dove con i ragazzi ha avviato un percorso in più fasi dal titolo “la paura fa 90, la dignità fa 180”. «L’errore più frequente è trattare la camorra come un argomento di letteratura, invece ci dobbiamo rendere conto che è qui in mezzo a noi», spiega Don Gambardella, che avvia i ragazzi, e poi le loro famiglie, al “consumo critico”, cioè ad acquistare beni in quei negozi i cui titolari non pagano il pizzo. E proprio l’antiracket è una delle battaglie portate avanti dal sacerdote napoletano, che insieme a Raffaele Cantone e ad alcuni suoi concittadini ha creato l’associazione antiracket “Domenico Noviello”. «La religione non è solo culto, ma se viene staccata dalla vita non ha senso. Impegno per la giustizia e la legalità è un cammino religioso», ha precisato Don Gambardella.

Il ruolo della Chiesa è ovviamente al centro del dibattito. Don De Masi assicura: «La Chiesa è cambiata, e nella Piana di Gioia Tauro è stata la prima a mettersi in gioco contro la ‘ndrangheta, perché come le dittature, anche le mafie sono ladre di libertà». «La mafia – dice ancora Don De Masi – è una struttura di peccato, quindi Vangelo e mafia non possono assolutamente andare d’accordo». Lo slogan dell’associazione giovanile del prete calabrese è “restare per cambiare, cambiare per restare” ed è, nelle sue parole, una scommessa vinta perché rimanendo nel territorio i ragazzi sono diventati strumento per combattere le mafie e cambiare il sistema trovando il modo di rimanere in questa terra che «è nostra e non dei mafiosi».

Ancora i giovani sono al centro dell’impegno di Don Dattilo, ex parroco di Lamezia Terme, e che ha avuto, come lui stesso ammette, un’esperienza molto diversa rispetto a quella degli altri due sacerdoti pur partendo dalla medesima convinzione che «il piccolo favore e la grande mafia hanno la stessa radice culturale». Rivoluzionaria è stata la sua idea di riproporre il santino di Santa Lucia sostituendone l’immagine commerciale con una più sacra alla quale ha unito una preghiera nuova, in cui usa la parola “piombo” (che rimanda all’assassinio dei due netturbini, negli anni ’80, e che scosse profondamente il lametino) ripresa dal profeta Isaia. Un cambiamento importante.

Infine, una domanda sui beni confiscati alle mafie e sulla proposta del Governo di venderli ai privati. Dice Don De Masi: «i beni confiscati sono del popolo e al popolo devono rimanere».

Amen.