Il protagonista è il dialogo nell’ultimo libro di Gianrico Carofiglio, “Il paradosso del poliziotto”. La celebrazione del confronto e della maieutica al posto del pregiudizio o della violenza. Il giovane scrittore che chiede all’anziano poliziotto le tecniche dell’interrogatorio rappresenta un inevitabile parallelo tra chi scrive e chi indaga.

“Entrambi raccontano storie”, spiega Carofiglio, “anche il poliziotto raccogliendo i segni del passato ricostruisce una storia nel presente”. Ma deve farlo senza pregiudizi né ipotesi precostituite, l’investigatore ha il dovere di giudicare in assenza di (pre)giudizio. Ecco il paradosso del poliziotto.

Tra le caratteristiche di un buon agente, l’autore aggiunge ragionevolezza e senso dell’umorismo. Una caratteristica, quest’ultima, che non ha molto a che fare col motto di spirito ma è piuttosto la capacità indispensabile di smorzare la concentrazione dal proprio ruolo di potere. “Ogni persona che consegue un ruolo di autorevolezza”, aggiunge l’ormai ex magistrato, “corre il rischio di prendere sé stesso troppo sul serio offuscando la realtà che gli sta attorno. Per questo è indispensabile il senso dell’umorismo, per evitare errori”. Ma precisa che poiché è inevitabile sbagliare, nella vita come in ogni buona investigazione, bisogna essere capaci di ammettere gli errori e saper tornare sui propri passi.

Sulla recente scelta che lo ha portato alle dimissioni spiega che il mestiere dello scrittore aveva preso ormai gran parte del suo tempo passando al primo posto rispetto all’impiego ufficiale. Dunque per evitare di fare entrambe le attività in modo impreciso viene la difficile scelta di abbandonare la carriera iniziata in età giovanissima, a 25 anni. “E poi facendo il magistrato non potevo espormi né prendere posizione su molti argomenti riguardo ai quali avrei invece voluto schierarmi”.

Alla domanda del direttore artistico del Trame festival 2013 – Gaetano Savatteri – se c’è un valore aggiunto legato ai libri sulla mafia, Carofiglio risponde che alcuni di questi hanno segnato la storia di generazioni, come il giorno della civetta  di Sciascia. “Scrivere di criminalità organizzata” – conclude l’autore –  “in modo serio e senza retorica, fa parte della battaglia. È indispensabile l’immaginazione per contrastare le mafie.” Immaginare è infatti la capacità di pensare alle alternative per il cambiamento. È anche questa l’importanza del Festival Trame, che vuole immaginare un mondo senza le mafie.