C’era una volta Piana dei Colli: un nome che è quasi un ossimoro, come ricorda lo storico della mafia Salvatore Lupo. La Piana si colloca oggi nella periferia di Palermo, mangiata negli anni dalla speculazione edilizia; sul finire dell’Ottocento, invece, nei suoi fondi si coltivavano gli agrumi. Un giro d’affari a cui presto si interessò quella che poi è diventata Cosa Nostra. Vittorio Coco, allievo di Lupo, nel libro “La mafia dei giardini. Storia delle cosche della Piana dei Colli” riscopre le origini agresti della criminalità organizzata.

Come un archeologo, Coco ha scavato nei documenti dell’Archivio di Stato per ricostruire i primi insediamenti mafiosi nelle più importanti aziende agricole dell’epoca. La maggior parte delle carte è stata prodotta dal prefetto Cesare Mori, mandato dal regime fascista a sgominare la mafia palermitana. “La repressione di alcuni gruppi portò allora all’emersione di nuove famiglie. Il grande colpo alla mafia è stato dato dalla democrazia negli anni Novanta, non dalla dittatura”, assicurano entrambi gli storici.

Salvatore Lupo, in particolare, ci tiene a dire che “Il nemico è vincibile. Se ci raccontiamo la storia dell’antimafia come una perenne sconfitta, non andiamo da nessuna parte”. Il ridimensionamento di Cosa Nostra sarebbe coinciso, secondo il professore, con l’uscita dal mercato della droga, determinato dalla perdita dell’appoggio statunitense. “E’ lo stato a decidere sulla vita o la morte della criminalità organizzata e il problema principale resta che l’economia globale chiede mafia”, sottolinea. Il giornalista siciliano Piero Melati s’interroga sulla morte del magistrato Scopelliti il 9 agosto del 1991, un omicidio – su cui ancora indaga la procura – che sarebbe stato orchestrato insieme dal clan di Totò Riina e da varie famiglie calabresi facenti capo ai Mancuso. Crimine che sembra rappresentare, a distanza di anni, il forzoso passaggio di consegne della mafia alla ‘ndrangheta, la più pericolosa attualmente a livello internazionale.