di Angela Iantosca

Un bambino mi prende per mano e mi chiede di aiutarlo a salire su una giostra: “Ti ricordi? Come hai fatto ieri!”. Non sono la persona che crede. Ma gli dico che lo aiuterò. Mi prende la mano. La sua mano piccolissima si perde nella mia. Tra poco me la lascerà. Lo so. Ma trattengo quei secondi. Ad un tratto si gira e mi dice: “Ah no, non eri tu…”. Mi lascia la mano e se ne va. Prende la mano di un’altra e va verso la sua giostra. Lo osservo che si allontana e sorrido. I suoi genitori gli hanno insegnato la fiducia. Gli hanno insegnato a riconoscere di chi fidarsi. Gli hanno spiegato che se si trova in quella piazza, con loro, durante l’XI festa di Addiopizzo può fidarsi. Gli hanno insegnato che quelle giostre sulle quali sta salendo sono giostre regalate da chi pensa che i bambini, anche in quel quartiere (soprattutto in quel quartiere), debbano avere un parco con le giostre. Gli hanno insegnato che c’è gente che impegna energie, tempo, soldi per gli altri. E non perché ha un interesse o è un politico, ma perché pensa che il bene dell’altro sia il suo bene, che se un bambino gioca in un parco si sta costruendo il futuro.

I suoi genitori gli hanno insegnato che in quella piazza ci sono tanti stand e che ogni stand rappresenta un impegno, l’impegno a vendere prodotti di cui si conosce la provenienza, l’impegno a vendere prodotti che rispettano l’ambiente e i diritti delle persone, l’impegno a vendere prodotti che permetteranno a chi li ha realizzati di dar vita a nuovi progetti di crescita, l’impegno a pensare che se apro una attività non sono costretto a pagare il pizzo, perché già si pagano le tasse, perché c’è lo Stato al quale chiedere i permessi per aprire qualsiasi attività, perché c’è lo Stato che veglia su ognuno di noi. Non so come si chiami quel bambino, ma guardando la sua faccia vispa, con quegli occhi neri, i capelli scuri e quel corpicino asciutto e scattante penso che si chiami Giuseppe. È un bambino di Palermo e in questi giorni, come tanti altri bambini, era nel quartiere la Kalsa, quello in cui sono nati Falcone e Borsellino, quello di noti boss, quello del contrabbando di sigarette, quello della Farmacia Borsellino ora trasformata nella “Casa di Paolo” una associazione che si occupa di doposcuola per bambini.

Sono stati tre giorni importanti in Piazza Magione e allo Spasimo: si è ballato, si è riso con Roberto Lipari e la sua favola delle… fate, si è riflettuto; per la prima volta il Trame festival (festival di libri sulle mafie organizzato a Lamezia Terme dal 2011 – nda) è arrivato a Palermo e in questo quartiere per parlare di minori e mafie e per mostrare le foto di Mario Spada che dal 2011 ha immortalato i “tramati”, i volontari che ogni anno regalano il proprio tempo e le proprie vacanza per un festival che trasforma uno di quei territori in cui si respira ancora la ‘ndrangheta, in una piazza libera, occupata dai libri, dalla cultura e dalla consapevolezza. Si è parlato di possibilità che si possono creare anche in un Istituto penale per minorenni come il Malaspina diretto da Michelangelo Capitano che lavora per dare a quei ragazzi delle abilità, per insegnare loro cosa è l’impegno, cosa significa lavorare per vivere, come si può trasformare qualcosa che si pensava da buttare in una speranza che può solcare il mare. Si è parlato con Massimo Merlino di Save The Children di minori, di povertà assoluta, ma soprattutto di povertà educativa e di quella corruzione che ogni anno uccide nel mondo 140mila bambini. Si è parlato di processi, giornalisti, di “certa stampa” e della necessità di trasformare la parola antimafia in un sostantivo concreto. Parole per grandi queste, ma a volte necessarie per dare una indicazione sulla direzione da prendere, sul dovere che ha ognuno di noi di continuare, di seguire il filo d’oro, di non farsi deviare, di non cadere nella tentazione di considerare il proprio operato più utile di quello degli altri, di capire che mettersi in rete dà senso al nostro impegno…

C’era anche Giuseppe in questi giorni  in questa piazza e ha imparato tante cose osservando quegli stand, le giostre e leggendo le frasi sulle magliette dei ragazzi di Addiopizzo: ha imparato che nella vita ognuno è libero di scegliere, di pagare o non pagare il pizzo, di rispettare o non rispettare le regole. Ha imparato che si può giocare con gli altri bambini, quelli che vivono in quel quartiere, che sono bambini come tutti, ma che hanno bisogno di qualcuno che li guidi e che gli spieghi qualcosa che nessuno ha mai avuto il tempo, la voglia, l’interesse a spiegare loro. Ma ha anche imparato che chi non paga il pizzo, chi rispetta le regole, chi dona il proprio tempo, la propria energia agli altri, chi pensa che i bambini debbano giocare sulle giostre donate dai volontari, chi crede che la dignità sia sempre al primo posto, chi fa lo scontrino, chi non si piega, chi collabora, chi decide di cambiar vita e anche quei ragazzi detenuti che producono i biscotti “Cotti in fragranza”, riparano una barca dismessa e provano a cambiare vita si possono prendere per mano. Senza paura.