«Con l’attuale legislatura italiana se ci fosse una volontà politica diversa potremmo vincere la mafia». Non si risparmia Nicola Gratteri sul palco del Trame Festival, dove ha presentato con Gaetano Savatteri il suo ultimo libro “Il Paese dei Padrini” scritto a quattro mani con Antonio Nicaso.

Il testo cerca di essere un anello di congiunzione tra la penisola dell’Ottocento e l’odierna Italia mafiosa.

Come viene sottolineato da Gratteri «la storia è bizzarra e piena di omissioni, viene scritta dai vincitori perché i perdenti sono sempre brutti, sporchi e cattivi». Bisogna, dunque, interrogarsi su quelle “verità” rimaste indiscusse nel tempo e domandarsi ancora come e quando abbia avuto inizio il fenomeno della ‘ndrangheta.

Per rispondere a questa domanda gli autori hanno portato avanti una ricerca storica attingendo alla documentazione degli archivi di Stato e ricostruendo la storia dell’Italia. Una prima causa dell’emergere della realtà mafiosa si può individuare nelle elezioni amministrative del comune di Reggio Calabria del 1889. Anno in cui, i candidati aristocratici, per osteggiare i Borboni, assoldarono Francesco Di Stefano e alcuni membri della magistratura, per spingere gli oppositori all’astinenza dal voto. A quel tempo – nonostante l’assenza di una legislazione antimafia – un metodo così approntato su minacce e intimidazioni venne visto come un qualcosa di così grave da provocare l’annullamento delle elezioni e lo scioglimento del comune, il primo nella storia del Paese. In seguito ci furono altri eventi rilevanti come quello, ad esempio il terremoto dello stretto del 1908, che portò alla nascita dei primi usurai e delle truffe alle casse dello Stato che finanziava la ricostruzione.

Un altro tema su cui si è soffermato Gratteri è la possibilità reale nel nostro Paese di portare avanti la lotta alla mafia dal punto di vista giuridico, e ha spiegato come all’Italia venga riconosciuta un’ottima legislazione antimafia, forse la migliore al mondo. Il problema sta nel fatto di non essere sostenuta ancora da un sistema giudiziario proporzionato alla realtà criminale presente: ramificata in quattro, cinque differenti attività mafiose.

A conclusione dell’incontro, il Procuratore della Repubblica di Catanzaro, ha fatto notare come il progresso tecnologico, soprattutto nel campo informatico, stia incidendo molto sulla modalità delle indagini: ad esempio con la nascita dei processi a distanza, che puntano a limitare i costi, a risparmiare tempo e a salvaguardare l’ambiente limitando gli spostamenti. Anche grazie a queste nuove frontiere si punta a sconfiggere le mafie, per non lasciare la partita in eterno pareggio.