dal Blog Trame, di mafie e di libri
di ATTILIO BOLZONI

Alcuni fenomeni sono più evidenti, qualche  episodio eclatante  guadagna le prime pagine dei giornali o le aperture dei TG, ma molto spesso chi fa impresa combatte una battaglia quotidiana,  spesso solitaria e silenziosa, contro quelle forme di criminalità che rendono ancora più difficile portare avanti un’azienda: pizzo, usura, contraffazione e abusivismo, corruzione, rapine…..
Chi fa impresa combatte contro una burocrazia e una legislazione così farraginose  e arzigogolate  da far venire il sospetto che siano volute e la certezza che favoriscano la corruzione e la concussione.
La concussione, cito la Treccani, è il reato del pubblico ufficiale che, abusando della sua qualità o delle sue funzioni, costringe (concussione violenta) o induce (concussione implicita o fraudolenta) taluno a dare o a promettere indebitamente a lui, o a un terzo, denaro o altra utilità, anche di natura non patrimoniale.
E il funzionario pubblico che chiede una mazzetta o un favore per far andare aventi la pratica, dare un’autorizzazione,  o chiudere un occhio su un errore formale,  in  un Paese come l’Italia  nel quale la burocrazia è ancora fitta  e inestricabile come una giungla non è purtroppo un’eccezione rara.
Chi fa impresa combatte contro chi vuole impossessarsi  della sua attività, per riciclare denaro sporco e per avere il controllo del territorio, inquinando il mercato e falsando la concorrenza. Perchè le grandi organizzazioni criminali non hanno il problema dell’accesso al credito, come le piccole imprese. Non rischiano di finire nelle mani dei “cravattari”, sono i cravattari. Non devono far quadrare i conti, valutando costi e ricavi. Possono permettersi di acquistare o affittare le mura di un’attività a prezzi fuori mercato, creando una bolla immobiliare che taglia fuori chi invece deve mettere insieme il pranzo con la cena, l’affitto con gli stipendi dei dipendenti.  Anzi, non hanno neanche necessità che “quel” denaro frutti qualcosa, possono permettersi di praticare prezzi irrisori, o di investire milioni in ristrutturazioni.
Chi fa impresa combatte contro chi vorrebbe imporre  il pizzo, un’assunzione o un fornitore.
Combatte  contro chi lo intimidisce, lo rapina, lo minaccia.
Combatte contro chi prima mette in ginocchio l’attività, facendole terra bruciata intorno, e poi dà il colpo di grazia offrendo un aiuto “disinteressato”  che porta alla morsa soffocante e invisibile dell’usura.
Combatte contro l’abusivismo, la contraffazione. Contro chi opera in un mercato fuori dalle regole, che sia un affittacamere, un venditore abusivo sulle spiaggia, un intermediario disonesto, un sito di prodotti taroccati, un fioraio improvvisato. Un mercato nel quale evasione, lavoro nero, sfruttamento, aggiramento delle norme di sicurezza e sanitarie, elusione di adempimenti e autorizzazioni, falsano la concorrenza e rendono impari la battaglia.
Questa battaglia ha un costo: l’ufficio Studi di Confcommercio ha stimato in oltre 28 mld di euro il valore aggiunto sottratto dalla criminalità e dai fenomeni illegali a negozi e pubblici esercizi, 260.000 i posti di lavoro persi. Un prezzo troppo elevato che le nostre imprese non possono permettersi.
La lotta contro la criminalità e l’illegalità è per Confcommercio l’applicazione di un principio sancito dall’art. 41 della nostra Costituzione “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana….”
Questo è il principio sul quale si fondano i valori ispiratori di Confcommercio – libertà economica e concorrenza, coesione sociale e tutela della dignità umana,  benessere della collettività e sicurezza – contenuti anche nel nostro Statuto, ma soprattutto sono i valori che ogni giorno cerchiamo di tradurre in fatti nella nostra battaglia contro la criminalità.
Con il racconto e la denuncia;  con strumenti mirati (vademecum, protocolli, corsi, etc. ); sostenendo iniziative dedicate  (Premio Libero Grassi; Premio Giorgio Ambrosoli; Trame, Festival dei libri sulle mafie); promuovendo progetti e road show di sensibilizzazione (Educazione all’acquisto legale: fermiamo la contraffazione, Reading “Un’impresa libera… costi quel che costi”).
Perché conosciamo l’entusiasmo e la fatica di essere imprenditori, i piccoli e grandi gesti eroici,  il coraggio di ogni giorno di chi come un moderno Enea sa – usando una battuta e un gioco di parole –  che se fosse facile non si chiamerebbe impresa.

Anna Maria Lapini