Cani senza padroni di Carmelo Sardo

Da giovane cronista, Carmelo Sardo, ha seguito le storie delle faide mafiose sul campo e in seguito a questa esperienza ha deciso di sistematizzarle tra verità storiche e processuali. Ne è nato un libro “Cani senza padrone. La Stidda, storia vera di una guerra di mafia” ambientato tra la seconda metà degli anni Ottanta e gli inizi degli anni Novanta. Il giornalista nel testo descrive, talvolta in maniera romanzata, l’organizzazione criminale degli stiddari in Sicilia che sfidò Cosa Nostra con una serie di atti malavitosi, dalle estorsioni agli omicidi. Spiega, inoltre, la radice etimologica di stiddari: «è la terza persona del verbo “stiggiare”, che significa spezzare, tagliare via», termine che si riallaccia all’icastica metafora dell’albero: il tronco che rappresenta il capo, i rami gli accoliti, e il ramo staggito, allontanato dalla famiglia; dal quale deriva, ancora, l’espressione “ posato” usata nel simbolismo mafioso.

Gli stiddari, racconta l’autore, erano stati assoldati come una manovalanza che oltre a fungere da braccio armato per le zone delittuose però avrebbe controllato il territorio, sostituendo i vecchi capi.

L’attività criminale dei “cani senza padrone” trova la fine con l’omicidio del giudice Rosario Livatino, che gli era stato ordinato di uccidere. Si innescato a quel punto un meccanismo per il quale, da efferati nemici vecchi boss erano diventati pedine inconsapevoli di questi.

Il Giudice Livatino, come spiega Carmelo Sardo, aveva capito come attaccare veramente la mafia, ovvero con l’aggressione dei loro beni sottraendogli la ricchezza che tendevano ad accumulare per i loro figli. Il Giudice ragazzino aveva avuto questa intuizione che gli avrebbe permesso di smantellare il sistema criminale e per questo ha conosciuto la morte.

A conclusione dell’incontro Carmelo Sardo racconta al pubblico che proprio di recente è iniziato il processo di beatificazione del giudice Livatino proprio uno dei suoi killer, Gaetano Puzzangaro, pentito e collaboratore di giustizia che ha scelto, inaspettatamente, di scrivere delle lettere per perorare la causa, insieme a un corredo di scuse per il gesto compiuto. L’autore lascia gli spettatori con la constatazione che in Sicilia, oggi, si minaccia ma non si uccide più, è in atto la cosiddetta pax mafiosa, aggiungendo laconicamente che «i mafiosi avranno raggiunto degli equilibri inspiegabili a chi è fuori dal contesto criminale».