Un uomo di nome Libero non poteva certo inchinarsi alle perverse dinamiche mafiose, e questo fu il destino di Libero Grassi, l’imprenditore siciliano brutalmente ucciso da Cosa Nostra la mattina del 29 agosto di venticinque anni fa per essersi opposto al racket dell’estorsione.

Libero Grassi nacque a Catania il 19 luglio 1924, in un’Italia in pieno subbuglio per l’assassinio del parlamentare Giacomo Matteotti, e fu chiamato così per volere dei genitori, commercianti e ferventi antagonisti del regime fascista. Quando Libero ha otto anni, la famiglia si muove alla volta di Palermo. Scoppia la seconda guerra mondiale e il giovane si trasferisce a Roma per studiare Scienze Politiche, prima di ritornare a Palermo e iscriversi alla facoltà di Giurisprudenza. Conclusi gli studi, Grassi accantona la vecchia idea di diventare diplomatico e decide di dedicarsi all’attività di famiglia divenendo titolare dell’azienda di pigiami e indumenti per la notte esportati in tutto lo Stivale.

Si arriva così al giorno in cui Libero Grassi viene inserito da Cosa Nostra nella lista dei negozianti a cui chiedere il pizzo, ma il commerciante si ribellò alle assurde richieste e a quel mondo fatto di soprusi e omertà denunciando i suoi estorsori alle autorità.

Grassi

Secondo le logiche mafiose, Grassi segna la sua condanna a morte (ma, nomen omen, da uomo libero) il 10 gennaio del 1991 quando scrive una lettera al Giornale di Sicilia, denunciando pubblicamente il tentativo di taglieggiamento ricevuto. Nel messaggio avverte il suo estorsore di risparmiare le telefonate intimidatorie in quanto non disponibile a “contribuire” a rimpinguare le casse della malavita organizzata. In quella stessa lettera Grassi scrisse di essere sotto protezione della polizia. Dalla sua denuncia, due esattori del pizzo, i fratelli Avitabile, finirono in manette, ma per sua grande meraviglia l’imprenditore non ricevette appoggio dai colleghi commercianti. Da molti, comunque, questa data è indicata come l’inizio della vera lotta al racket delle estorsioni.
La condanna a morte per Libero Grassi fu portata a compimento quella mattina del 29 agosto 1991 da due sicari appostati sotto casa dell’imprenditore siciliano, in via Vittorio Alfieri, nella zona residenziale della città di Palermo.
«Non sono un pazzo, – dichiarava con i suoi modi pacati e imperturbabili Grassi qualche mese prima di morire – sono un imprenditore e non mi piace pagare. Rinuncerei alla mia dignità. Non pagherò mai il pizzo ai mafiosi. […] È stupido pagare il pizzo, versare la tangente alle cosche. Si spendono quattrini e poi quelli tornano alla carica, si ripresentano. E allora tanto vale rivolgersi alle forze dell’ordine». (Gaetano Savatteri, I siciliani, Laterza 2006).
Per l’omicidio dell’onesto e coraggioso commerciante siciliano, nel 1997 furono condannati come esecutori materiali Marco Favarolo e Salvatore Madonia. La Repubblica Italiana concesse a Grassi la Medaglia d’oro al valor civile, ma la famiglia della vittima di mafia non accettò alcuna lapide sul luogo del delitto.

Il manifesto che ogni anno Davide e Alice, i figli di Libero Grassi, pongono sul luogo dell'omicidio di loro padre

Il manifesto che ogni anno Davide e Alice, i figli di Libero Grassi, pongono sul luogo dell’omicidio di loro padre

Sará il primo anno senza Pina, moglie di Libero, venuta  mancare 7 giugno scorso. In questi venticinque anni ha voluto che nessuno dimenticasse il messaggio di coraggio del marito.

Pina Maisano Grassi

Pina Maisano Grassi

Una donna, una madre ed una moglie che instancabilmente ha alimentato la memoria, soprattutto tra i più giovani, portando nelle scuole il ricordo di lotta e di riscatto di Libero Grassi.