L’Astronave, come viene simpaticamente chiamato il palazzo che ospita il consiglio regionale calabrese, costa ogni anno 77,9 milioni di euro, il doppio rispetto all’omologa assemblea dell’Emilia Romagna, che però ha una popolazione il doppio più numerosa.

Quali sono le cause di questa enorme discrepanza? “Casta calabra. La politica? Sempre meglio che lavorare” prova a rispondere a questo delicato interrogativo e lo fa  presentando dati “vecchi”, come afferma ironicamente uno dei  co-autori del libro, Paolo Pollichieni, direttore del Corriere della Calabria, che ha coordinato un team formato da giovani giornalisti della sua redazione (Eugenio Furia, Giampaolo Latella, Pablo Patrasso e Antonio Ricchio), poiché l’elenco delle malefatte della pubblica amministrazione calabrese è purtroppo in continuo aggiornamento.

“Questo è un libro che lascia l’amaro in bocca – esordisce Sandro Ruotoloperché i calabresi sanno già tutto di queste storie. Ma allora per quale motivo non si ribellano? Perché la società civile deve sempre delegare tutto alla magistratura?”. Una domanda a cui è difficile dare una risposta univoca, ma che secondo Giuseppe Lombardo, sostituto procuratore della Dda di Reggio Calabria, è da ricercare nel “patto di utilità tra mafia e politica”. “La società civile non deve riappropriarsi degli spazi di base – aggiunge Lombardoma di quelli di vertice, deve tornare a essere padrona del proprio destino. Da parte mia, se non fossi convinto di svolgere un’attività utile, farei tutt’altro. Certo è che noi magistrati non  vogliamo privilegi, ma nemmeno avere padroni”.

Pollichieni ammette poi che le responsabilità maggiori della situazione calabrese non sono da ricercare solo nelle malefatte dei politici, ma anche nelle mancanze della classe giornalistica. “La situazione è molto più grave del semplice “Io so” di Pasolini, perché lui non aveva le prove, mentre  noi le abbiamo. Io non mi domando più se vinceremo questa partita – conclude il direttore -, ma la voglio comunque giocare, perché come uomobounce house with slidemi sento in dovere di disputarla”.