Mi chiamo Stefania, Stefania Tramonte, e sono nata il primo aprile del 1980, da una famiglia dalle umili origini e dai modi semplici, ma sempre attenta a i valori importanti dell’onestà e del rispetto, e della loro condivisione.

Sono cresciuta nell’affetto e nel calore di una famiglia unita, di un padre sempre pronto a rallegrare le nostre giornate nonostante la fatica e il sacrificio del suo lavoro di netturbino, e di una madre dedita generosamente alla cura della casa e all’educazione di tre piccole femminucce, birichine e vivaci come è giusto che sia in età fanciulla. Fino a quando… fino a quando noi tre piccole pesti non siamo diventate di colpo grandi.

Quella maledetta alba del 24 maggio del 1991, io avevo appena compiuto 11 anni, mia sorella Maria quasi 14 e la più piccolina, Antonella, ne aveva appena 3. Mia madre, Angela, era una ragazza di 33 anni, considerata oggi un’età in cui ci si può ancora permettere di non essere sposata.

Mio padre Francesco, quella mattina, come ogni mattina, si svegliava per andare a spazzare via le sporcizie della città, e di certo non poteva sapere che proprio in quel giorno, nella zona di Miraglia a Sambiase, la più lurida delle mani l’avrebbe raccolto… La ‘ndrangheta, gestiva gli appalti della spazzatura, e mio padre insieme al suo collega Pasquale Cristiano, suo amico oltre che collega, operatori ecologici assunti dal comune di Lamezia Terme, si trovavano intenti ad effettuare una manovra del camion verso i cassonetti dei rifiuti. Che cosa c’entravano loro con le manovre disgustose e fetenti tra il Comune e la Mafia? Quella mattina si doveva colpire l’innocente, si doveva dimostrare che gli appalti si vincono con gesti del terrore. Quella mattina Francesco e Pasquale vennero barbaramente trucidati a colpi di kalashnikov da un uomo del terrore. Un mitra da guerra utilizzato contro due colombe pure e innocenti, operai incoscienti, lavoratori diligenti, uomini inermi e incontaminati davanti alla ferocia della cupidigia mafiosa. Sarebbe bastata una fionda e due sassolini a spaventare quelle candide anime da bambini ignari, sarebbe bastato mettere fuoco alla camionetta e lasciarli vivere, ma soprattutto sarebbe bastato avere un Comune pulito e trasparente – e tenace nell’appartenere alla legalità – per evitare che due innocenti pagassero il prezzo alto del martirio.

Mi chiamo Stefania Tramonte, sono nata il primo aprile del 1980, da una famiglia che dal 24 maggio del 1991 chiede giustizia, chiede che si faccia luce sui mandanti e sull’esecutore di un’enorme infamia, che cerca risposte al di là della facile retorica dell’antimafia da salotto e aspetta rilievi oltre il solco delle incisioni delle lapidi delle commemorazioni.

Da quel giorno, di colpo, sono diventata grande, perché qualcuno mi ha privato della serenità della fanciullezza, lasciandomi soltanto un ritratto sbiadito di famiglia e il ricordo nel cuore di un padre che mi sussurra nell’animo la sua vicinanza e che mi urla nelle orecchie la sua sete di giustizia.