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Sciascia, La storia della mafia, Barion

«Non c’è impiegato in Sicilia che non sia prostrato al cenno di un prepotente e che non abbia pensato a trarre profitto dal suo ufficio. Questa generale corruzione ha fatto ricorrere il popolo a rimedi oltremodo strani e pericolosi. Ci sono in molti paesi delle fratellanze, specie di sette che diconsi partiti, senza riunione, senz’altro legame che quello della dipendenza da un capo… Il popolo è venuto a convenzione coi rei. Come accadono furti escono dei mediatori… Molti alti magistrati coprono queste fratellanze…»
Così don Pietro Ulloa, procuratore a Trapani nell’anno di grazia 1838. Un giudizio e un ritratto ancora stimolanti, Sciascia se ne appropria e traccia un profilo, denso e inevitabilmente problematico, della cosiddetta onorata società, in questo scritto per la prima volta in volume.

Leonardo Sciascia (1921-1989), è tra le figure di maggiore spicco della letteratura dell’intero Novecento, tanto da essere considerato, anche fuori dall’Italia, alla stregua di un «classico». Scrittore civilmente «impegnato» è autore di testi memorabili: Le parrocchie di Regalpetra (1956), Gli zii di Sicilia (1958), Il giorno della civetta (1961), A ciascuno il suo (1966), L’affaire Moro (1978).