Giuseppe Gulotta è una vittima. Vittima “non di un errore giudiziario, ma di una frode processuale”, tende a sottolineare il giornalista Carmelo Sardo. La sera del 12 ottobre 1976 la polizia prelevò da casa Gulotta, all’epoca diciottenne, e lo rinchiuse in carcere, dove seguirono interrogatori e torture. L’accusa? L’omicidio di due giovani carabinieri.

Dovevano trovare delle persone a cui affibbiare la responsabilità della loro morte”: questa è stata l’unica spiegazione che Giuseppe Gulotta si è auto-fornito negli anni successivi alla tragica notte “da dimenticare. Il libro Alkamar- Vent’anni in carcere da innocente, scritto insieme al giornalista Nicola Biondo, è stato una terapia perché in esso l’autore ha “detto cose che, in altre sedi e con altri mezzi, non sarei probabilmente riuscito a dire”  e la cui lettura ha alimentato l’indignazione di Carmelo Sardo come uomo prima ancora che come giornalista. Ancora più sconcerto crea il fatto che la squadra che ha seviziato Giuseppe era allora guidata dal colonnello Russo, in seguito ucciso dalla mafia e premiato con una medaglia d’oro al valore civile per aver tentato di contrastare il fenomeno mafioso, quando poi si scoprirà che in realtà era colluso con importanti componenti della mafia. “Nessuno è venuto a scusarsi con me, delle scuse, a questo punto, non me ne faccio molto; vorrei piuttosto che venissero rivolte ai famigliari dei due carabinieri che per anni sono stati illusi di aver ricevuto giustizia tramite l’arresto del falso colpevole”, spiega Gulotta che dedica “ai genitori, morti prima di averlo potuto vedere a piede libero, e al nipote Riccardo che invece libero l’ha sempre visto” il libro