Nella terza serata di Trame è stato presentato, in assoluta anteprima nazionale, il primo libro di Gaetano Di Vaio “ Non mi avrete mai” edito da Einaudi editore, in uscita il prossimo 9 luglio 2013. Un testo scritto a quattro mani grazie alla collaborazione di Guido Lombardi che ha seguito, quasi annullandosi ed entrando in piena empatia con Gaetano, la quotidianità di quello che è divenuto simbolo del riscatto a Napoli. 

Gaetano non è uno scrittore classico, ha la quinta elementare, ma un è grande uomo, pieno di dignità e saggezza. Quella saggezza che ha imparato per strada, a Napoli, nei vicoli del centro storico e poi nella periferia dell’area nord, nella Napoli a cavallo tra gli anni ’70 e ’80 quando la camorra di Raffaele Cutolo era paragonabile a un impero.

Il libro è una autobiografia con alcune elementi romanzati. Scrivere questo libro, per Gaetano, era  “un’ esigenza che mi portavo dentro già da quando ero in carcere. Ma non sapevo usare la penna, avevo la quinta elementare, prendevo solo brevi appunti che poi abbiamo anche riportato nel libro”.

Gaetano è figlio del bronx, un ghetto dimenticato che a Napoli si chiama Scampia, ovvero una delle più grandi piazze di spaccio di droga di tutta Europa. Figlio di una famiglia onesta, povera ma onesta che ha occupato una palazzina per vivere e dare un tetto a dieci figli. Spedito in collegio a 7 anni, nel 1975, quando a Napoli quei luoghi erano dei non luoghi dove “invece di trovare la nutella abbiamo trovato solo violenza”. Scugnizzi figli di prostitute, di carcerati, di famiglie oneste ma povere che venivano mandati in quelle strutture per sfuggire alla fame ma che lì imparavano i primi rudimenti della delinquenza.

Da lì il primo obiettivo non era sopravvivere ma scappare e così Gaetano scappa, vive per strada, inizia con i primi furti per mangiare. Il primo in assoluto, degli orecchini rubati a casa di un amico e regalati a sua sorella. Poi le rapine diventano serie con le pistole, i primi guai con la giustizia, i primi approcci con la droga, la tossicodipendenza, lo spaccio. Fino al carcere, il carcere di Poggioreale a Napoli, un inferno legalizzato dalle istituzioni che si innalza in un dei tanti quartieri della Napoli che cresce intorno alla stazione centrale.

Autobiografia di un figlio del bronx, il titolo dell’incontro moderato dalla giornalista Gabriella Gallozzi, è la storia del riscatto di Gaetano che da carcerato diventa, in brevissimo tempo, produttore cinematografico e punto di riferimento del cinema indipendente napoletano e non solo. Gaetano ha resistito, non si è mai affiliato alla camorra nonostante abbia praticato l’illegalità per anni. “ Non vendendo fragole, facevo altro” dice con tutta onestà Gaetano; “ Sei schiavo di un sistema se entri nella camorra”. Ma quella illegalità era l’unica strada che ancora oggi tantissimi ragazzi sono costretti a seguire a Napoli, a Scampia così come nei quartieri Spagnoli o a Forcella. E quando nasci lì, vieni trascinato in un vortice di violenza da cui è difficile se non impossibile uscire. Gaetano Di Vaio definisce questo mondo la criminalità disorganizzata che ti fa entrare ed uscire da collegi, riformatori, carcer, fino ad entrare per sempre dentro una bara non potendo più uscire.

Il libro ha come perno centrale Poggioreale, il carcere di Napoli, “il posto dove ho imparato più cose nella mia vita. Il carcere è na bella scol’ ” (il carcere è una bella scuola), ma lo definisce anche come il più grande moltiplicatore di delinquenza che esiste sulla terra. L’esordio in letteratura di Di Vaio, con questa autobiografia, non gli impedisce di scavare nei più profondi ricordi della sua vita, come quelli della stanza zero del carcere dove è stato brutalmente picchiato più volte dai secondini solo perché era in crisi d’astinenza. Estratti di vita di una persona che ha cercato con testardaggine il proprio riscatto. Ed il riscatto è arrivato dal cinema. Fonda l’associazione Culturale “Figli del Bronx” che diventa poi Società di Produzione Cinematografica. Con i suoi lavori partecipa al 59° Festival Internazionale del Cinema di Locarno in Svizzera, collaborando successivamente con Abel Ferrara per partecipa alla 66° mostra di Arte Cinematografica di Venezia, solo per citare alcuni dei più importanti appuntamenti in cui si è affacciato.

La presentazione del suo romanzo non è stata tanto la presentazione di un libro, ma la descrizione dell’umanità che si nasconde dietro un uomo che con la sua storia ha dimostrato che “Là dove tanti vedono il buio c’è tanta luce”.