È solo una vita quella racchiusa nel libro ‘Nostro Onore. Una donna magistrato contro la mafia’ edito da Einaudi, presentato per la terza giornata del festival Trame 5.

La vita di una donna che doveva fare il notaio e, per quanto Marzia Sabella venga presentata già nel sottotitolo del testo come magistrato antimafia, come l’unica donna del pool di magistrati che nel 2006 hanno coordinato la cattura del super latitante Bernardo Provenzano, in questo libro scritto con la giornalista de ‘il Sole 24 ore’ Serena Uccello, quello che regala ai lettori è tutta la comune quotidianità di un mestiere, che come tutti i mestieri è fatto di difficoltà, di amicizie, di contatti, di errori, d’ironia, di famiglia, di compagni di lavoro che hanno un nome di battesimo e non un cognome che li farebbe diventare personaggi togliendogli un po’ della propria umanità.

Conversando con Giuseppe Baldessarro direttore del mensile ‘Narcomafie’ e collaboratore per ‘Repubblica’ e ‘Repubblica.it’, più un attento ed entusiasta lettore che un semplice coordinatore, le due autrici hanno parlato della nascita di questo testo che doveva raccontare la figura di una donna delle istituzioni ed ha finito per parlare di una donna che narra e forse un poco si racconta, che ha sì contribuito alla cattura di uno dei più pericolosi esponenti di cosa nostra ma che ha seguito nella sua carriera casi non meno importanti riservandogli la stessa attenzione. Un magistrato che rifiuta il titolo di “donna contro la mafia”

Titolo che in genere tende a sottolineare quanto sia un valore essere contro le mafie e quanto lo sia esserlo da donne, un forma di ‘discriminazione al contrario’ che invece non considera la facilità di dichiararsi antimafia e quanto invece non sarebbe più importante arrivare a considerare normale lo schierarsi e lavorare quotidianamente per arginare il potere mafioso.