Antonio Ingroia e Lirio Abbate – foto di Mario Spada

«Dobbiamo evitare le strumentalizzazioni sulla questione della trattativa Stato-Mafia: autorevoli sono state le parole di Napolitano che hanno riconosciuto il lavoro dei pm». Questo quello che il Procuratore Aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia, ha detto dal palco di Trame in piazza San Domenico, a proposito dell’argomento che in questi giorni apre le prime pagine dei giornali nazionali: la trattativa Stato-Mafia.

Una trattativa che, se davvero c’è stata e aveva una finalità strategica di repressione della mafia, «ha in realtà avuto un effetto controproducente di acceleratore di altre stragi», ha dichiarato Ingroia, ricordando che i giudici di Firenze definirono «scriteriata (quella) trattativa» perché aveva dato alla mafia quello che voleva, permettendole di usare la categoria delle stragi per continuare ad ottenere ciò di cui aveva bisogno. È per questo che, secondo Ingroia, nessuno mai ammetterà davanti agli italiani l’esistenza di quella trattativa.

Con il giornalista di Rainews Arcangelo Ferro, Ingroia ha ripercorso la sua lunga carriera in magistratura, raccontando le indagine più famose: quella di Contrada, quella di Dell’Utri e, appunto, quest’ultima sulla trattativa Stato-Mafia. Tre inchieste accomunate da due fattori che nell’arco di vent’anni si sono ripresentati più volte: anzitutto, il fatto che la mafia sia un’organizzazione che nella costruzione di un sistema basato su intimidazioni e violenza «è indubbiamente aiutata da pezzi di Stato» e, in secondo luogo, le reazioni delle istituzioni all’accusa che i suoi uomini fossero collusi con le organizzazioni della criminalità organizzata. «Le istituzioni cercano sempre di sminuire quello che è il lavoro dei Pool antimafia: è successo a Falcone e Borsellino, è successo a Caselli e succede oggi», anche se «nessuno finora ha tentato di polverizzare il nostro Pool, non abbiamo avuto alcuna pressione diretta». Però – precisa il Procuratore Aggiunto di Palermo – «è chiaro che il clima complessivo che si respira nel Paese qualche pressione sulla trattativa Stato-Mafia la esercita».

Ed è proprio parlando di questo clima che Ingroia si rivolge ai media: «possono aiutare le indagini se non distorcono le informazioni». Una critica neanche troppo velata ad un modo di fare informazione che – nelle parole dello stesso Ingroia – troppo spesso «pensa solo a rincorrere lo scoop». Il Procuratore ha poi parlato del ruolo della magistratura la cui attività, da dopo Chinnici, «non si è più potuta relegare solo ai palazzi di giustizia». Questo ha ovviamente messo al centro della discussione il problema della «mediatizzazione del processo, inevitabile se ti occupi per anni di indagini di rilievo». Ma «se è vero che bisogna evitare i riflettori – si domanda Ingroia – che si deve fare se sono i riflettori a cercarti? Lasci tutto all’informazione gridata o cerchi di contribuire affinché l’opinione pubblica sia ben informata?».

Una domanda a cui in Italia è difficile dare una risposta netta.