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I mille volti della 'ndrangheta: tra mutazioni e staticità

John Dickie, Enzo Ciconte e Anna Sergi parlano dell’importanza dell’analisi storica del fenomeno mafioso

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di Carlotta Cerra e Anna Pagliaro

 

“Mutazione” può essere definita la parola chiave di uno dei numerosi incontri che si sono tenuti in questa seconda giornata della XIV edizione del Festival Trame. 

Oggetto del dibattito è stato il libro Le mutazioni della ‘ndrangheta, un excursus storico sui cambiamenti della mafia calabrese a cura di John Dickie, Enzo Ciconte, Roberto P. Violi e Anna Sergi. 
Fin da subito il moderatore, Danilo Monteleone, ha intavolato una discussione incentrata sull’evoluzione della ‘ndrangheta: 

«Queste mutazioni seguono la società o, addirittura, sono capaci di farne delle anticipazioni?»

Tutti gli ospiti sembrano essere concordi nel definire la prima opzione quella più verosimile. 

«Le mutazioni della ‘ndrangheta- afferma Anna Sergi- seguono la società e le migrazioni». 

Già nella sua introduzione, del resto, Ciconte riprende la medesima idea: «La società mafiosa è lo specchio deformato e criminale di quello che succede nella società reale, quella del vissuto comune». 
Lo stesso concetto emerge nel suo intervento durante l’incontro, in cui afferma come la ‘ndrangheta più che anticipare i tempi, si adatti a questi. 

Anna Sergi, però, offre un’ulteriore prospettiva in merito al rapporto mafia-società, mostrando come ciò che accade di orrido all’interno della ‘ndrangheta corrisponda perfettamente ai mali della società, ma in maniera amplificata. 
La sociologa riporta come esempio il caso della discriminazione di genere che, se nella collettività costituisce un’emarginazione fine a sé stessa, per quanto problematica, all’interno del clan si tramuta, invece, in una vera e propria violenza. 

Il secondo spunto di riflessione offerto da Monteleone riguarda, invece, la staticità della radice del fenomeno mafioso e quanto, questa, sia coinvolta nelle mutazioni della ‘ndrangheta. 

Ciconte, sollecitato per primo dal giornalista, replica sostenendo che sia importante tenere a mente l’origine della criminalità in Calabria, ma che sia altresì fondamentale considerare anche le sue ramificazioni. 
Afferma inoltre lo storico, che la ‘ndrangheta è l’unica organizzazione mafiosa capace di compiere un’opera di capillarizzazione nettamente differente rispetto alle modalità di Cosa nostra, la cui principale sede è sempre stata Palermo. 

Non a caso Paolo Palma scrive, nella prefazione del libro, che Lombardia e Valle d’Aosta, lontane dal nucleo fondamentale della ‘ndrangheta, sono tra le principali regioni di concentrazione mafiosa. 

Due differenti punti di vista si sono distinti durante il dibattito in merito all’importanza di attribuire una datazione precisa alla nascita della mafia calabrese. Infatti, secondo Ciconte «dobbiamo anche considerare i fattori predisponenti allo scoppio di un fenomeno».

Lo storico dunque, spiega quanto sia necessario, ai fini dell’analisi storica, liberarsi dalla mentalità innata che ci porta a dover obbligatoriamente ricondurre l’inizio di un evento ad una determinata data. 
John Dickie, al contrario, afferma che, per quanto i fattori predisponenti siano importanti, è invece possibile definire, per ogni evento, degli elementi in particolare che gli hanno dato inizio. Anzi, lo studioso sostiene fermamente che, cercando di andare troppo indietro nel tempo, si rischi di correre un grosso pericolo. Come scrive anche nel libro, infatti: «c’è una specie di orgoglio regionale rovesciato nel voler esagerare l’antichità della mafia calabrese». 

Uno spunto interessante è specialmente quello finale di John Dickie, il quale si oppone alla creazione della figura di Giovanni Falcone come quella di un martire. Un’osservazione a tratti provocatoria che fa sorgere spontanea una domanda: se davvero, come dice lo storico inglese, i grandi eroi antimafia sono stati soggetti, in gran parte, a una “mitizzazione”, quanto è reale l’interesse collettivo per la mafia? Quanto l’idealizzazione delle vittime di criminalità ha tristemente contribuito a sollevare l’attenzione generale rispetto a un fenomeno che, altrimenti, non sarebbe mai venuto a galla? 

Una riflessione simile ci porta a mettere in discussione molti aspetti, ma altresì ad apprezzare ancora di più lo studio certosino condotto dagli ospiti di oggi, che ci mostrano dunque un modo diverso di parlare di mafia: una modalità che esplora in modo poliedrico e analitico una realtà spesso romanzata o semplificata, ma in realtà antica e complessa.

 

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