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Figli traditori: storie di rampolli in fuga dalla 'ndrangheta

Arcangelo Badolati svela le dinamiche interne delle famiglie mafiose calabresi e il ruolo cruciale del pentimento.

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di Martina Nisticò
 

È nell’atmosfera di Trame13, il festival dei libri sulle mafie, che Arcangelo Badolati ha deciso di presentare il suo ultimo libro “Figli Traditori – i rampolli dei boss in fuga dalla ‘ndrangheta”. Un punto di vista nuovo e diverso sulle dinamiche interne alle famiglie della ‘ndrangheta calabrese, è quello che offre Badolati nella sua pubblicazione, dove raccoglie storie di uomini delle più grandi famiglie mafiose calabresi, oltre a vere e proprie testimonianze dei “figliol prodigo” di vari boss susseguitisi negli ultimi 70 anni. 
Da Pino Scriva, figlio di Francesco Scriva, indagato ed assolto per l’omicidio del giudice Francesco Ferlaino, che ha deciso di pentirsi nel 1983, a Giuseppe Giampà pentitosi nel 2012, figlio del “professore”, il padrino lametino ergastolano che ha visto chiusa la sua epoca d’oro proprio grazie alle testimonianze del suo stesso figlio.
Nella presentazione del libro oltre all’autore Arcangelo Badolati, intervistato da Paola Militano, era presente anche Giuseppe Lombardo, procuratore aggiunto di Reggio Calabria. 
Durante il suo intervento, l’autore ha chiarito come il nucleo fondante e centrale dell’organizzazione criminale crolli nel momento in cui un pentito decide di testimoniare. Il suo seppur breve libro, ha però l’obbiettivo di raccontare il fenomeno e nasce dalla volontà di dimostrare che qualcosa nella ‘ndrangheta sta cambiando. 
Nel suo intervento, l’autore ha tenuto a sottolineare anche la centralità del ruolo della donna nella vita della criminalità organizzata «La ‘ndrangheta è donna. Il ruolo delle madri è centrale nella vita dei rampolli delle famiglie mafiose. Sono loro a trasmettergli i valori mafiosi e di onore e sono sempre loro» – continua – «quando i padri vanno in carcere a volergli trasmettere l’insegnamento che la vita in galera sia necessaria a mantenere il proprio onore».
È proprio questo che gli uomini di cui racconta Badolati non accettano: la galera e la condanna.   A fine 2007 inizio 2008 – spiega il procuratore – che anche i reparti investigativi iniziano a notare che il fenomeno del pentimento non è più solo un caso isolato. Infine l’avvocato Lombardo aggiunge «Il pentimento, non è più un caso unico come accadde ai tempi di Pino Scriva, tra i primi a “tradire” la sua famiglia e l’onore mafioso, per ottenere una vita “normale”» – continua –«il fenomeno del pentimento è ormai più diffuso di quel che si pensa, a dimostrazione che la vita di mafia non è più basata sul criterio generazionale e sanguineo».

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