Un emigrato al contrario, don Giacomo Panizza. La sua è la storia di un profondo amore che dal Nord l’ha condotto verso il Sud Italia, oltre quaranta anni fa. Sul palco di Trame, il suo ultimo libro, Cattivi maestri, che porta in scena l’educazione e la contro-educazione delle giovani generazioni che vengono incanalate verso le organizzazioni criminali.
«Servono cattivi maestri per rompere l’immaginario, per smuovere la maggioranza delle coscienze affermando: “il re è nudo!”», sostiene don Giacomo. La mafia «educa da millenni, nonostante non possieda scuole. Il banco di prova delle mafie sono la casa, il villaggio, il clan». Non si ferma neppure davanti a donne e bambini e, occorre sapere – continua il fondatore della comunità Progetto Sud – che, «quando viene piazzata una bomba, non viene danneggiato soltanto il locale oggetto dell’attentato, ma viene danneggiata tutta la città». Il sacerdote inoltre sottolinea che «esperienza di libertà può essere la formazione di un gruppo musicale, di una cooperativa che opera sul territorio».
Insomma, una qualsiasi realtà che non abbia «né padrini né padroni», e che incida in maniera propositiva per il contesto sociale in cui si sviluppa. Per questo, esiste un’altra educazione
«Si può reagire»¸ dichiara: «l’importante è non essere lasciati soli, come avvenuto a Don Peppe Diana, abbandonato dalla stessa Chiesa».
Ma la gente cresce «quando vi è un ideale, un’educazione altra rispetto a quella criminale», commenta il parroco, il quale si aggancia anche alla tematica del perdono: «Nel libro ho utilizzato questa parola in modo molto umano – e non solo in maniera religiosa – . Non prevede un comandamento, perché occorre la libertà, nel perdono». La vendetta, invece, uno strumento per continuare a condurre una vita da vittima. «La vendetta è un serpente che si insinua nell’individuo e impedisce di continuare a creare cose nuove». E invece bisogna andare avanti: «tutti quanti possiamo voltare pagina nella vita».
Paura ne ha, don Giacomo, e continua ad averne. «Non so da dove prenderla e tirarla via; ce l’ho, è dentro di me e fa parte di me. Ma non mi metto sotto gli ‘ndranghetisti, mi tengo la paura»¸ forte dell’appoggio della sua famiglia e delle persone che gli stanno attorno, a cui lui vuole molto bene e a cui loro vogliono molto bene.