Un saggio di pagine dettagliate, che tolgono ai boss quell’aura di superpotenza. Rosaria Capacchione riesce a raccontarci tutti i dettagli delle inchieste, la scalata al successo degli uomini più potenti della camorra.Una banca dati zeppa di file che mostrano come questi uomini siano stati capaci di controllare e permeare ogni aspetto della nostra economia. La Capacchione lavora dal 1985 per il mattino di Napoli, durante il processo Spartacus del 2008 riceve insieme al dottor Raffaele Cantone e a Roberto Saviano minacce di morte, le fu assegnata la scorta. La chiacchierata con Lirio Abbate affonda le mani nelle questioni più salienti affrontate non solo nel libro,ma anche nell’attualità. La potenza del clan dei Casalesi, che pur essendo stato decapitato di molti tasselli fondamentali,continua a investire in modo “pulito” nel sistema appalti, nell’industria del gioco d’azzardo, e controlla indirettamente il mercato della droga. La tanto decantata efficienza del modello Caserta, in verità ha rappresentato unicamente una repressione militare, il governo non ha mai discusso e applicato le norme fondamentali per combattere il crimine. Non si può parlare di vittoria dello Stato in quei territori , basti ricordare che è ancora latitante Michele Zagaria* sfuggito più volte alla cattura perché protetto da uno stuolo di imprenditori che, facendo affari con lui nell’acquisizione degli appalti, hanno probabilmente interesse a proteggerlo.  L’intera economia campana, e meridionale, è totalmente bloccata non si trova lavoro, la precarietà è la regola. Se lo Stato non offre una valida alternativa, il lavoro, spesso possono garantirlo solo gli uomini di camorra (o delle mafie). “La consapevolezza diffusa  è che se tu non appartieni ad alcun gruppo o clan non esisti, ma la maggior parte delle persone non si assoggettano ad alcun gruppo dunque non hanno alcuna speranza.”. La riflessione ritorna sui problemi di sempre, da troppi anni ormai non c’è un ricambio nella pubblica amministrazione, cambiano i volti, ma non gli equilibri. Quando Abbate punta il dito anche sulla questione “monnezza” la Capacchione è chiara, i Casalesi indubbiamente sono coinvolti nella gestione (intombamento rifiuti), ma non tutto è imputabile a loro. Non bisogna commettere l’errore di usare le mafie come alibi, il problema dei rifiuti vede diversi responsabili dall’incapacità dei politici, alla corruzione ordinaria. L’uso della stampa è un altro aspetto che da sempre contraddistingue i boss della camorra e che, a quanto pare, tutt’ora avviene. Molti giornali veicolano messaggi nelle carceri, esistono delle direttive che vietano l’ingresso di alcune testate nelle case di detenzione, ma oltre a un uso pratico, i titoloni falsi e anche un po’ ridicoli servono per far capire alla società il punto di vista del boss locale,le proprie motivazioni su una causa in corso e di conseguenza anche da che parte si schiera il direttore di quel giornale. Si rispolvera anche il  caso Cosentino che sin dal primo processo Spartacus è finito nel mirino degli inquirenti, per il quale è stata ottenuta una misura cautelare ma, incurante di ciò, il parlamento lo protegge per non si sa quali motivi. Rosaria ci racconta anche il modo in cui viene gestito il voto: l’affiliato preposto passa a chi si reca al seggio una scheda votata, precedentemente fornita dagli amici scrutatori. La persona entra nel seggio e ritira la scheda vuota, inserirà poi nell’urna quella fornita dal clan e restituirà la scheda vuota che verrà votata nuovamente dal camorrista che poi ricomincerà il giro. Un controllo presocchè totale, tanto che si è dovuto provvedere nelle recenti elezioni,con un presidio più attento da parte delle forze dell’ordine presso i vari seggi. Riprendendo un po’ le parole di don Ciotti  si ripensa alla vita sotto scorta.Una giornalista minacciata che vive per sua stessa ammissione, senza grandi problemi, preferirebbe non solidarietà, spesso falsa e indigesta da parte di chi si limita a scrivere due righe di facciata, ma che ci fosse una risposta attiva. È preferibile da parte di chi svolge lo stesso lavoro una condivisione del modus operandi una coesione d’intenti e di modi. Un supporto vero che non isoli chi, solo per aver raccontato la verità, per aver fatto informazione costruita con minuziosità e ricerca, paga un prezzo troppo alto di una vita fatta di controllo e rinunce.

m.n.

* Il 13 ottobre 2010 la Corte d’assise di Latina condanna Zagaria all’ergastolo per l’omicidio di Pasquale Piccolo, ucciso il 22 luglio 1988 a Gaeta. Zagaria è considerato infatti il mandante dell’omicidio. Il 15 ottobre 2010 subisce un’altra condanna all’ergastolo da parte della Corte d’appello di Latina.