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06 dicembre 2020

Un’altra Calabria è possibile?

Tramepeople OnAir
Il dopofestival dei giovani volontari di Trame

Evento

06 dicembre 2020

Messina Denaro. Il grande mistero

La figura leggendaria del superlatitante Matteo Messina Denaro chiude l’edizione digitale di Trame, alla presenza di Gaetano Savatteri e Lirio Abbate.

U siccu”, ultimo libro-inchiesta del primo direttore artistico del festival dei libri sulle mafie a Lamezia Terme, ripercorre la storia dell’unico boss corleonese rimasto libero.

Trapanese di nascita, figlio di latitante, Denaro è cresciuto sulle gambe di Totò Riina che lo ha reso uno dei più spietati stragisti e custode dei suoi segreti.

“Tutti i documenti di Riina sono oggi in mano a lui – dice Abbate – portati via dalla villa di via Bernini a Palermo. Quello che è riuscito a prelevare da lì gli ha consentito di guadagnare il vantaggio che lo rende ufficialmente introvabile dal 1993”.

Di lui non conosciamo la voce, il volto e le impronte digitali. Nel libro è presente l’unico verbale giudiziario esistente del boss. 

“L’aurea di leggenda che lo avvolge – prosegue Abbate nel racconto – lo vorrebbe come un moderno Peter Pan, che ruba allo Stato per dare ai poveri. La realtà però è totalmente diversa. Il latitante non conosce generosità neppure verso i suoi. Si è anzi affrancato da ogni padrinaggio per proseguire da solo”. Scomparendo, apparentemente, nel nulla.

 Nessuno, tra chi gli è stato affianco ed è stato arrestato, ha mai pensato di tradirlo.

Quello che sappiamo sicuramente è che ha abbandonato i panni del sanguinario e posato le sue lupare, intravedendo altrove nuove forme di ricchezza e potere. 

Oggi incarna il volto della mafia moderna: invisibile, sommersa, affarista. 

“Possiede una forza economica enorme che gli consente di inquinare la democrazia e l’economia legale drogando una fetta di mercato, e di approfittare della pandemia in corso. E’ più pericoloso di quanto non lo fosse nel 1992” – denuncia Abbate.

Ma chi contribuisce a garantirgli ancora sicurezza e protezione?

“Anche la ‘Ndrangheta. Messina Denaro ha fatto più volte scalo a Lamezia da Pisa e ha avuto contatti con l’organizzazione criminale calabrese”.

“Sono sicuro che verrà arrestato – conclude il giornalista d’inchiesta – per decretare la fine dello scandalo di questa latitanza e la supremazia dello Stato e della giustizia”.

 
Evento

06 dicembre 2020

Il testamento di Paolo Borsellino

Pochi giorni fa Maria Falcone, sorella del giudice, ha denunciato un ristoratore di Francoforte per violazione della memoria. Pare che nel suo ristorante la storica foto dei due magistrati scattata da Tony Gentile fosse accostata a quella di Don Vito Corleone de Il Padrino di Coppola. 

I giudici tedeschi, in una sentenza choc, hanno dichiarato che il nome del giudice Falcone non meriti tutela, in quanto abbia operato solo in Italia e sia noto solo agli addetti ai lavori e non alla gente comune che frequenta il locale.

Non può che iniziare con il riferimento a questo recente episodio che indigna, l’incontro dedicato all’ultima lettera di Paolo Borsellino, indirizzata ad un liceo di Padova e mai completata, oggi divenuta il suo testamento per le nuove generazioni. 

Ne hanno parlato a TrameXtra Emanuela Iatì e Pietro Grasso.

Paolo Borsellino non concluse la missiva perché quello stesso giorno, sotto casa della madre in Via D’Amelio a Palermo fu assassinato con un’autobomba insieme a cinque agenti della sua scorta: Emanuela Loi, Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli e Claudio Traina. Cinquantasette giorni dopo l’attentato a Giovanni Falcone. 

La strage scosse la Sicilia, l’Italia intera e lo stesso Grasso, giudice a latere del primo Maxiprocesso a Cosa Nostra.

“Ricordo bene lo sgomento quando Giovanni Falcone, giudice istruttore, mi portò in una stanza blindata per presentarmi il maxiprocesso – racconta Grasso –  quattro pareti piene di scaffali da cielo a terra. Più di 400 mila pagine per gli ultimi dieci anni di storia dei delitti di mafia che per la prima volta venivano messi in fila”.

“Trent’anni dopo ancora molto c’è da fare nella lotta alla mafia e ancora di più per scrivere tutta la verità su quello che è successo dopo il 1992”.

Il libro racconta un pezzo di storia italiana attraverso la voce di un uomo che ha lavorato accanto ai giudici simbolo della lotta alla mafia e che, con ancora in tasca l’accendino donatogli dall’amico Borsellino, promette “Continuerò a cercare la verità e il filo rosso che lega le due stragi”.

Evento

06 dicembre 2020

Quando la ‘Ndrangheta entrò in politica

Il 1980 è l’anno dell’assassinio di Piersanti Mattarella, della strage della stazione di Bologna, della stagione dei cadaveri eccellenti e degli omicidi, in Calabria, di Peppe Valerioti e Giovannino Losardo, militanti del partito comunista impegnati in prima linea contro la mafia.

Ne hanno parlato a TrameXtra lo storico inglese John Dickie e l’esperto di organizzazioni criminali e già deputato Enzo Ciconte, autore di “1980. Alle origini della nuova ‘Ndrangheta”.

Nel contesto delle contrapposizioni più dure tra la ‘ndrangheta e il partito di sinistra, le loro morti a Rosarno e Cetraro, presto finite nel dimenticatoio, dimostravano che la mafia aveva valicato i confini tradizionali per occuparsi di nuovi affari economici.

Peppe Valerioti era il segretario della sezione del Pci. Quando una lupara lo colpì si trovava in un ristorante del vibonese insieme ai suoi compagni per festeggiare la vittoria appena ottenuta alle elezioni amministrative. La ‘Ndrangheta aveva deciso di colpirlo proprio quella notte perché aveva capito che il Partito Comunista rappresentava l’argine che si frapponeva al proprio tentativo di impadronirsi delle assemblee elettive e delle istituzioni.

“Infiltrandosi e governando la Cosa Pubblica, infatti, le famiglie mafiose avrebbero avuto in mano un potere immenso che avrebbe permesso loro di intercettare e accumulare le ingenti risorse di denaro pubblico destinate a quel territorio.

All’indomani dell’omicidio il sindaco annunciò che si trattava di un fatto di donne che nulla aveva a che fare con la mafia: un depistaggio che funzionò e che non permise di individuare i mandanti” – racconta Ciconte.

Giovannino Losardo era invece il segretario capo della Procura paolana ed esponente del Pci. Per la sua morte fu accusato in qualità di mandante Franco Muto, noto come il “Re del pesce” di Cetraro. Nonostante il processo vedesse alla sbarra altri quattro imputati, tutto si concluse con un nulla di fatto.

Era chiaro, in entrambi i casi, che la mafia volle uccidere per tentare di porre fine alle denunce portate avanti dal partito verso gli interessi criminali nell’utilizzo dei fondi pubblici. 

“Il 1980 è l’anno in cui la ‘ndrangheta dall’era premoderna si catapulta in quella moderna: capisce di aver bisogno di entrare nei consigli comunali candidando i propri rappresentanti e inizia a slegarsi dal mondo agricolo per abbandonare il suo aspetto folkloristico e diventare impresa. 

Non era più frutto di arretratezza, ma si apriva alla modernità”.

Su cosa fosse la ‘Ndrangheta iniziarono a interrogarsi e scontrarsi il Pci e il Psi prima, la Chiesa e la magistratura poi.

Le conseguenze di ciò che avvenne altro non sono che quello cui assistiamo ancora oggi: l’egemonia inarrestabile dell’organizzazione mafiosa calabrese.

Evento

06 dicembre 2020

Le politiche culturali per il sud

Massimo Bray ne parla con Gaetano Savatteri

Evento

05 dicembre 2020

Ok boomer. Linguaggi tra generazioni

Tramepeople OnAir
Il dopofestival dei giovani volontari di Trame
Ospite Murubutu

Evento

05 dicembre 2020

Boia chi molla! Il romanzo della rivolta

L’incontro con la giornalista Emanuela Iatì e l’autore di “Salutiamo, amico” Gianfranco Turano, nella terza giornata di TrameXtra, ci catapulta nella Reggio Calabria del 1970.

All’indomani dell’istituzione delle regioni italiane, si pone il problema di decretare le città capoluogo. Per la Calabria viene scelta Catanzaro. 

La parte più estrema della regione reagisce con una guerra urbana. Seguono sette mesi di guerra civile che farà 17 morti. Una pagina buia della storia d’Italia, fatta passare come un evento locale. 

La guerriglia si esaurisce con il Pacchetto Colombo, che destinerà alla provincia di Reggio Calabria due mila miliardi di lire di allora, il più colossale caso di spreco di fondi pubblici in Italia.

Quest’anno per la prima volta il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha ricordato i morti di Gioia Tauro definendoli “vittime di una strage” e non di un incidente, come si era cercato di far credere.

“L’episodio fu nascosto da un cono d’ombra fin dall’inizio – dice Turano – la Rai, monopolista assoluta della televisione, decise di non mostrare una realtà in cui democristiani si scontravano con altri democristiani o madri di famiglia, professori e insegnanti ergevano barricate contro le cariche della Celere e dei Carabinieri. Il Washington Post parlò di quindici mila rappresentanti di forze dell’ordine a Reggio. Nell’aria solo l’odore dei lacrimogeni, l’arma usata per contrastare i dimostranti. Ma il resto d’Italia di questo non sapeva nulla”.

La rivolta popolare e spontanea cominciò a tingersi di nero attraverso alcuni gruppi di destra che assunsero il controllo strategico delle operazioni militari.

Nel febbraio del ’71 furono persino inviati i carrarmati, ma anche in questo caso la notizia trapelò in ritardo e nel disinteresse generale.

Nel 1970 arrivava un vento di novità dal nord che investiva tutti gli strati della società e che riguardava in particolare i giovani, ora riconosciuti come categoria, e le donne, intese come titolari di una propria identità politica. Sono gli anni delle lotte femminili e delle guerre di emancipazione combattute in casa. Ma anche quelli in cui la ‘ndrangheta diventa quello che noi oggi sappiamo essere.

Con i moti di Reggio Calabria infatti si crea una saldatura con politica, massoneria e imprenditoria. Nasce la Santa, quella doppia affiliazione che ha sancito l’evoluzione di un’organizzazione criminale altrimenti frutto di arretratezza.

“L’obiettivo era la gestione del Pacchetto Colombo, del quinto centro siderurgico a Gioia Tauro e del decreto Regio. Ognuno dei nuclei del potere verrà accontentato. Tra i tanti danni collaterali, oltre allo spreco economico e ai danni ambientali, c’è la spaccatura della Calabria, che nel 1970 aveva perso l’occasione di diventare una regione unita. Quello spingere sul sentimento capitalistico e sulla lotta tra le tre maggiori città (Reggio, Catanzaro e Cosenza) – dice Turano – ha prodotto danni che pesano anche dopo cinquanta anni. Non si è voluto che la Calabria diventasse un soggetto politico capace, seppur con le sue difficoltà, i suoi limiti e le sue marginalità”.

“La settorialità è forse stata utile allo stesso Stato, che ha contribuito a renderla crocevia di interessi loschi e a trasformarla nella culla del malaffare. 

E in questo senso, la Calabria continua a essere un laboratorio per la politica” –  concordano la giornalista e lo scrittore.

 

Evento

05 dicembre 2020

Le mani sul tesoro della mafia

“C’è un’Italia bizzarra: uno Stato che interviene efficacemente contro le mafie, confisca e sequestra, ma che non sa come gestire quei beni E’ uno Stato un po’ zoppicante rispetto a quello che è un tesoro inquantificabile”.

Introduce così Attilio Bolzoni la presentazione del libro “L’oro delle mafie” di Franco La Torre a Tramextra.

Il volume, scritto insieme a Domenico Morace ed Elio Veltri, con una prefazione dello stesso giornalista di LaRepubblica, analizza il fenomeno delle confische denunciando l’inefficienza dell’Agenzia Nazionale per i Beni Sequestrati e Confiscati.

“Molto di quanto recuperato – dice La Torre – torna in mano alla criminalità”.

Perché allora non restituirli alla collettività?

 Quello dei beni sequestrati è forse un “grande affare” per qualcuno, come suggerisce il sottotitolo del libro stesso?

Non esiste neppure una banca dati che possa quantizzare l’entità delle ricchezze sottratte alle mafie, che finiscono col restare sepolte della burocrazia e dalla lentezza di certi pubblici uffici.

Il libro pone l’accento su una politica totalmente disinteressata verso tutto ciò. 

“La mafia viene presa in considerazione solo quando crea allarme sociale, quando è sangue fa schifo a tutti. Ma quando è soldi le cose cambiano” osserva Bolzoni.

“Sono favorevole alla vendita dei beni confiscati – dice La Torre – monitorandoli di più soprattutto nei primi tre anni, evitando passaggi di proprietà e che ricadono nelle mani sbagliate”.

“Oggi è questa la grande sconfitta dello Stato – conclude – la politica deve renderne conto”.

Evento

05 dicembre 2020

Il grande affare del virus

Protagonisti dell’incontro di apertura della terza giornata di TrameXtra, il Procuratore della Repubblica di Catanzaro Nicola Gratteri, lo storico della ‘Ndrangheta Antonio Nicaso in collegamento dal Canada, la giornalista Raffaella Calandra e il direttore artistico del Festival Gaetano Savatteri.

Prima, un’anticipazione doverosa sulla discussa Aula Bunker di Lamezia Terme che verrà inaugurata il prossimo 15 dicembre. “Non potevamo continuare a essere l’Africa del Nord – dice Gratteri – sarà una struttura modello, perché anche in Calabria, se si rema tutti dalla stessa parte, le cose si fanno.

 Si tratta di un locale di 3.300 mq, la cui ristrutturazione è costata due milioni di Euro. Ci saranno più di quattrocento posti per gli avvocati che avranno a disposizione 6 stanze per ricevere i propri clienti, la possibilità di collegarsi con centocinquanta diverse carceri d’Italia contemporaneamente, tre maxi schermi, oltre trecento posti per gli imputati e duecento per il pubblico, e tre ingressi separati”.

“Nel 2021 – aggiunge – avremo anche la nuova Procura di Catanzaro, che ci permetterà di risparmiare un milione e settecento mila euro all’anno di affitto”.

Si passa poi a parlare dell’ultimo libro scritto a quattro mani dalla coppia letteraria Nicaso-Gratteri, “Ossigeno illegale” edito Mondadori, un’analisi in corsa di come le mafie approfitteranno della pandemia di Covid-19 ponendo l’accento sulle conseguenze che investiranno economia e mercati. Il testo ripercorre anche le grandi crisi del passato e le infiltrazioni mafiose sulle fasi di post emergenza.

“Dagli anni ’80 in poi – spiega Nicaso – si è creata un’economia delle catastrofi, perché è molto più lucroso investire risorse nella ricostruzione che nella prevenzione. L’economia mafiosa oggi non viene respinta ed il riciclaggio sta diventando l’ossigeno dell’economia legale. I soldi delle mafie vengono sollecitati e utilizzati con grande disinvoltura permettendo al malaffare di realizzare quello che nel libro definiamo doping economico”.

“Le esperienze delle ricostruzioni post terremoto hanno messo in luce la necessità di trovare una sintesi tra l’urgenza di dare risposte snellendo procedure e appalti, e, nello stesso tempo, evitare che si lasci una porta aperta alle mafie, per le quali le emergenze costituiscono le condizioni più vantaggiose, sia dal punto di vista economico che della gestione del territorio” – aggiunge Calandra.

Ma perché le organizzazioni criminali, tutt’altro che studiose del benessere sociale, nei momenti di maggiore criticità riescono a giocare d’anticipo rispetto allo Stato stesso colmando vuoti e attese e soddisfacendo determinati bisogni ed esigenze?

Da parte dei mafiosi c’è la continua necessità di legittimarsi il territorio, inteso non solo come luogo geografico, ma anche come insieme di persone che lì si muovono e incidono. Insistono sui luoghi come zavorre, monopolizzando tutte le attività lecite e illecite. Sono presenti 365 giorni all’anno, conoscendo a fondo le carenze e le maggiori criticità da sanare. Questo, consente loro di intervenire fornendo le risposte utili prima che possa farlo lo Stato.

Si aggiudicano la benevolenza e la riconoscenza delle fasce più deboli e bisognose, guadagnando in cambio voti e sostegno. E, ogni volta che si manifesta una crisi di un certo livello, sono pronti ad approfittarne.

A questo si aggiunge un fatto ancora più inquietante che sollecita l’urgenza del fare: “la ‘ndrangheta continua a trarre profitto dalla regione più povera d’Europa” – osserva Nicaso. 

E il virus non può far altro che esasperare tutto ciò.

Evento

04 dicembre 2020

Giovani Protagonisti

Tramepeople OnAir

Il dopofestival dei giovani volontari di Trame

Evento

04 dicembre 2020

La civiltà di un paese si misura dalle carceri

“Bisogna vederle le carceri per poterne parlare” diceva Calamandrei. 

Luigi Pagano, ex direttore di San Vittore che ha ricoperto ruoli di vertice all’interno del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, senz’altro le ha viste e vissute, e per questo ha deciso di raccontarle all’interno di un libro (“Il direttore” appunto) che ripercorre la sua biografia e i suoi quarant’anni di carriera, come racconta al giornalista e scrittore Carmelo Sardo nella seconda giornata di Tramextra.

“Le carceri sono anacronistiche e inumane. Non sono in grado ad oggi di svolgere la funzione di recupero della persona, ledendone anzi la dignità, ne di abbattere la recidiva di reato – denuncia – favoriscono l’annichilimento delle personalità e la tendenza, da parte delle società civile, di identificare il reato con la persona”.

Il carcere dovrebbe essere l’extrema ratio dell’esecuzione penale, la rieducazione e il reinserimento potrebbero essere perseguiti implementando misure alternative, perché – spiega – “lo Stato non si può rifare con le manette come in una vendetta personale. Lo Stato è un’altra cosa”.

Il direttore, con la peculiarità della competenza umana prima che professioanle e l’utopia dell’abolizione delle carceri, è riuscito a innescare un processo di cambiamento ed è stato precursore dello sdoganamento di alcune attività all’interno degli istituiti (come quella teatrale), convinto che il reinserimento della persona nella società e l’abbattimento della recidiva di reato sia possibile solo offrendo ai detenuti concrete occasioni di recupero. “Svolgere attività preserva la loro umanità” – spiega.

L’intero sistema appare però ancora lontano dall’esser al passo con i tempi e con i canoni di civiltà. “Secoli di evoluzione umana e giuridica – conclude – non sono riusciti a sradicare quell’occhio per occhio che ci portiamo dentro. L’istinto di reazione in noi è dovuto a fatti ancestrali”.

Evento

04 dicembre 2020

‘Ndrangheta, finchè c’è pandemia c’è speranza

Giovanni Tizian (Domani), Stefania Pellegrini (Uni Bo), ne parlano con Francesco D’Ayala

Giovanni Tizian, Mafie e pandemia, Piemme Giovanni Tizian, Atlante illustrato della ‘ndrangheta, Rizzoli

04 dicembre 2020

La Calabria non è terra per bambine

In collaborazione con Save the Children, la seconda giornata di festival si apre con un’analisi della condizione dell’infanzia in Calabria e un focus su bambine e ragazze. 

All’incontro, moderato da Angela Iantosca, hanno partecipato Diletta Pistono, Carla Sorgiovanni e due esempi positivi calabresi, Maria Elena Saporito e Nhaila.

Da quanto emerge dall’ XI Atlante dell’infanzia a rischio, in Calabria un bambino su cinque abbandona la scuola e ben il 64% dei più “piccoli”, in un anno, non legge libri che non siano scolastici. Si tratta di dati che segnalano la grave mancanza di opportunità formative e la possibilità di coltivare talenti. 

Alla povertà educativa si aggiungono spesso gli stereotipi di genere che limitano gli orizzonti di scelte per bambine e giovani donne, creando disparità soprattutto da adulti. I modelli che certi retaggi culturali ci impongono costituiscono una trappola che può trasformarsi in violenza.

La pandemia di Covid-19 poi, ha esasperato le disuguaglianze mettendo in luce, per le bambine, un futuro già a rischio.

“La fotografia che ne viene fuori – dice Diletta Pistono – è che in Calabria, le ragazze capiscono presto che studiare è la strada migliore per tutelarsi, si registra una minore dispersione scolastica e propensione all’apprendimento. Ma anche le giovani che conseguono la laurea stanno pagando cara la crisi”.

“Fin dall’infanzia – aggiunge Carla Sorgiovanni – le bambine scontano un gap con i coetanei maschi e, durante il loro percorso scolastico, accumulano lacune nelle materie scientifiche. Il divario di competenze si manifesta a 15 anni. Si crede che per le ragazze sia naturale proseguire con gli studi umanistici mentre i ragazzi abbiano una propensione per le materie scientifiche. E’ uno stereotipo culturale”.

Occorre invertire la rotta ripartendo dalle donne, favorendo il loro protagonismo anche dal punto di vista economico, così da scongiurare un post pandemia con un mondo del lavoro prevalentemente maschile.

“Il protagonismo delle ragazze – dice Pistono – farà la differenza nel nostro paese”. Ne sono esempio, attraverso le loro testimonianze, Maria Elena Saporito, studentessa e storica volontaria di Trame Festival, e Nahila, giovane assistente sociale che svolge la sua professione all’interno di uno dei punti luce (spazi ad alta densità educativa che sorgono nei quartieri e nelle periferie maggiormente svantaggiate delle città) che Save The Children ha attivato in Calabria.

 

Evento

03 dicembre 2020

Calabria Mission Impossible?

Gaetano Savatteri ne parla con Giorgia Gargano, Maria Teresa Morano, Gioacchino Criaco, Ida Dominijanni, Sanne De Boer e Monica Zapelli.

Evento
06 dicembre 2020

U siccu. Matteo Messina Denaro: l'ultimo capo dei capi

Autore: Lirio Abate
Editore: Rizzoli
Anno: 2020

06 dicembre 2020

Alle origini della nuova 'ndrangheta. Il 1980

Le reazioni del PCI e le connivenze della politica e della magistratura

Autore: Enzo Ciconte
Editore: Rubbettino
Anno: 2020

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