Pietro Grasso si racconta nelle pagine del suo “Per non morire di mafia”, in un viaggio a ritroso nel tempo. L’intervista di Alberto La Volpe si apre con un ricordo, un sogno di bambino abbracciato e tenuto stretto fino a diventare realtà dopo molti anni. Quel bambino aveva chiaro in mente il desiderio di diventare un giudice, probabilmente senza rendersi conto del peso di quella scelta.
La chiaccherata che vede come cornice una gremita piazza San Domenico, i ritmi scanditi dalla giornalista Bianca Stancanelli mostrano uno spaccato del privato del procuratore nazionale antimafia, più (normale), più vicino a chi lo ascolta. L’uomo, Pietro, si racconta. Il sogno di essere utile al prossimo, si avvera nella sua professione. Le rinunce, le scelte in nome di quel sogno che ancora oggi è energia che alimenta ogni nuova ricerca, indagine, lotta. È divertito e sereno e la giornalista Stancanelli è entusiasta della presenza dei tanti giovani che sono ancor auna volta la speranza, la forza. Nel periodo della formazione, Grasso ha avuto la fortuna di incontrare e poter far suoi gli insegnamenti di Falcone e Borsellino custodendoli e mettendoli in pratica ne momento della sua attività per il Maxi processo a Cosa Nostra del 1986. Il vero inizio alla lotta alla mafia, il passaggio fondamentale che ha consentito di conoscere e capire l’entità del fenomeno mafioso per il procuratore, è la collaborazione di Tommaso Buscetta che fornì una nuova consapevolezza del funzionamento della mafia e dei gruppi clandestini di potere della Cupola Siciliana. Un incontro che fece nascere la consapevolezza di come la mafia dovesse essere perseguità come entità e non come insieme di crimini separati.
Anche dal suo racconto emerge, evidente, l’intreccio tra il malaffare e le istituzioni. Certo è interessante capire come si possano tenere insieme l’espansione e la metamorfosi delle mafie, con la corrispendente crescente evoluzione della coscienza civile? Grasso ancora una volta riflette, ripesca nel suo vissuto, nei suoi studi, i colletti bianchi, la nuova criminalità che si veste di attività lecite. Anche nel lavoro di contrasto, nell’antimafia dei fatti, spesso gli arresti e le indagini vengono poi annullate dall’operato di altri magistrati, colleghi quindi verrebbe da chiedersi ma allora come si può sperare? “Abbiamo bisogno di eventi eclatanti e gravi per auspicare il cambiamento in Calabria?” si domanda Grasso.
La risposta è no,bisogna invece continuare a credere nel sogno, a lottare e fare il lavoro che si ama, soprattutto per chi ha la fortuna di averlo considerandolo un piccolo passo verso la felicità.
m.n.