Nell’ultima giornata del Festival Trame, il Chiostro San Domenico ha accolto la presentazione del volume del  giornalista Mediaset Carmelo Sardo, Malerba, edito da Mondadori e scritto a quattro mani con l’ergastolano Giuseppe Grassonelli, di cui il libro racconta appunto la storia.

E’ infatti un memoir  sulla vicenda umana di Grassonelli, che a ventisei anni  decise di vendicare  lo sterminio della sua famiglia perpetrato dai capi di Cosa Nostra, e fu per questo condannato all’ergastolo. Ha poi ottenuto la laurea in Lettere Moderne alla Federico II di Napoli: da qui, il nome dell’incontro, Il boss con la laurea.

Il dibattito è stato coordinato dal giornalista Felice Cavallaro, e ha visto la partecipazione di Sardo, di Giuseppe Ferraro, professore di Filosofia Morale alla Federico II da sempre impegnato in percorsi di recupero dei detenuti  – tra i quali Grassonelli – , e di Sebastiano Ardita, procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Messina.

E proprio a quest’ultimo Cavallaro ha rivolto la prima domanda, sollecitando una spiegazione del senso e della funzione dell’ergastolo oggi. Ardita non ha esitato in proposito, sottolineando come “un sistema penale che vuole apparire credibile non può permettersi di risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri concedendo la liberazione anticipata dei criminali più pericolosi. “C’è il rischio – ha aggiunto il Procuratore – che l’applicazione superficiale del sistema di detenzione finisca per  restituire alle associazioni mafiose il loro potere. Bisogna dunque far sì che la pena dell’ergastolo mantenga il suo valore costitutivo, senza dare adito a diritti di alcun tipo”.

Una visiona più giustizialista, quella del Procuratore, subito mitigata da Carmelo Sardo, il quale ha invitato il pubblico presente a riflettere su alcune contraddizioni dell’apparato punitivo italiano, che assegna l’ergastolo ostativo (cioè quello che non concede neanche un giorno di permesso) a Grassonelli, che non ha mai iniziato un processo di affiliazione mafiosa ma ha ucciso mafiosi, e prevede invece per criminali come Renato Vallanzasca, condannati ad ergastoli comuni, la possibilità di ore d’aria. “Il mio intento” – precisa però Sardo – “non è quello di fare apologia, ma di sollevare interrogativi provocatori. Grassonelli peraltro non ha mai tentato di discolparsi; è anzi fermamente convinto di dover pagare il proprio debito con lo Stato”.

Le possibilità di una redenzione non sono affatto escluse da Giuseppe Ferraro. Invitato da Cavallaro a parlare del proprio rapporto con Grassonelli, il professore ha posto l’accento sul concetto di resipiscenza, cioè “la possibilità per ciascuno di ravvedersi, di comprendere l’errore in cui si è caduti ripensando la propria storia. Nel versante della lotta alla mafia è importante dotarsi di una rabbia mossa dal bene e andare incontro alle persone” – ha proseguito Ferraro – “Io ho cercato di credere, di ascoltare Grassonelli e di spronarlo a scrivere i propri pensieri, perché credo che la scrittura possa costituire per ogni detenuto un importante momento di autoriflessione. Il compito principale dello Stato, d’altra parte,  è quello di educare, non di punire”.

Un dibattito dall’esito sostanzialmente aporetico, dunque, volutamente ambiguo e per ciò stesso importante materia di riflessione continua.