“Per un Paese che volge al declino, il compito dei cittadini è cambiarne il riflesso”. Questo è l’incipit della piacevole e a tratti irriverente chiacchierata che ha visto protagonisti Stefano Piedimonte e Antonio Manetti.

Entrambi di origini calabresi, entrambi cultori d’arte – letteraria uno, cinematografica l’altro – e  con un’ironia contagiosa.

La caricatura è la critica più elegante, e lo sa bene Stefano Piedimonte che, nel suo libro “Voglio solo ammazzarti” edito da Guanda, narra le gesta di un boss che cerca di vendicarsi di colui che l’ha mandato in carcere, ma guai a definirlo scrittore anti-camorra: il messaggio sociale, per l’autore non c’è e non deve esistere; il romanzo deve solo preoccuparsi di avere una base solida e personaggi coerenti, poiché “le denunce vanno fatte nei commissariati. Una cosa è il romanzo, una cosa sono le denunce”, afferma.

Dal canto suo, Antonio Manetti, regista – insieme al fratello Marco – di “Song ‘e Napule” proiettato ieri al Festival, ammette che anche nel suo film “si cammina sul filo sottile tra grottesco e realtà”. Non esiste una verità assoluta, e la realtà non è quella che descrive un eroe buono e un cattivo da emarginare; ogni antagonista è prima di tutto un uomo: un boss può amare profondamente i suoi figli, pur essendo, comunque, un criminale, così come Napoli è camorra, ma è anche e soprattutto vita, caos gioioso, allegria.

I pregiudizi vanno scardinati, e l’ironia serve proprio a questo. Il Sud deve superare la vergogna di essere ciò che è, e prendere consapevolezza delle proprie ricchezze e ottenere la sua rivincita.

Nel film, come nel libro, la Camorra perde e il Sud ha la sua vendetta.