Si parla delle origini della mafia in Calabria e in tutta la penisola al Trame festivalcol celebre storico Enzo Ciconte e col giornalista e scrittore Gigi Di Fiore in un incontro coordinato dallo storico lametino Fabio Truzzolillo.
Il dibattito si apre circoscrivendo l’epoca storica in cui la mafia si è sviluppata in Italia facendo breccia sulla popolazione. Leitmotiv della discussione è il tema della violenza, riconosciuto dallo stesso Ciconte come un argomento sempre presente all’interno dello scenario storico e politico ottocentesco. Tre sono i tipi di violenza affrontati: la violenza aristocratica – impersonata dai baroni che la esercitarono sul territorio napoletano attraverso l’utilizzo delle guardie armate; la violenza degli homines novi, ovvero i borghesi, che la sfruttarono per alimentare il potere della propria classe; e infine la violenza di classe, sviluppatasi nei contesti di cambiamenti ed evoluzioni attorno al sistema politico.
Proprio quest’ultima nel diciannovesimo secolo stravolse il Meridione la cui classe contadina – furiosa per l’estorsione delle terre e illusa persino da Garibaldi – diede vita al “brigantaggio”.
Nel corso della discussione Gigi Di Fiore rivela come il fenomeno non sia stato altro che una grande rivolta sociale, bollata dal nuovo Stato italiano come criminalità, per giustificare una grossa repressione anche difronte all’Europa.
La conquista del Mezzogiorno venne segnata da una massiccia e capillare repressione condotta dalle truppe piemontesi. La visione del Sud Italia era, infatti, stereotipata, dettata da pregiudizi sui suoi abitanti e dalla convinzione di una superiorità economica e sociale del Settentrione. «Da questa visione è nato il termine ‘briganti’» – dichiara Gigi Di Fiore. Termine di immediata connotazione negativa, scelto dallo stesso Stato italiano per censurare la rivolta sociale in atto. Una ribellione criminale che andava debellata e sconfitta. Il numero delle vittime che tra i briganti ne sono conseguite non risulta quantificabile. Nonostante il tentativo di limitare il numero delle fucilazioni ai soli capi e ai briganti in fuga, i soldati piemontesi agirono con il pugno duro, falsificando i verbali per giustificare la repressione violenta.
Lo stato continuò a servirsi della violenza di quel momento storico causando la nascita di un’organizzazione di famiglie mafiose che oggi più che mai ha esteso il suo controllo, riuscendo a propagare il suo potere anche fuori dai confini italiani.