Da un anno sono assessore alla cultura del Comune di Lamezia Terme e non passa giorno che non mi chieda che cosa significhi svolgere questo ruolo in terra di mafia; questo “chiedermelo” non è una suggestione culturale: è la dura imposizione non tanto di fatti concreti, facili da interpretare, ma del contesto. Preliminarmente è necessario provare a spiegare che significa essere terra di mafia e perché lo è Lamezia; non a caso, è proprio su questo punto di definizione che in questi mesi ho incontrato opposizioni e resistenze; del resto, il primo sintomo di un territorio come terra di mafia è proprio quello della negazione. Altra cosa è l’argomento che valorizza quell’opposizione di una parte della comunità: affermare che Lamezia è terra di mafia non ha nulla a che vedere con il voler ridimensionare o sottovalutare importanti spinte e reazioni, a partire dall’associazione antiracket.
Il punto è un altro, è riconoscere quelle relazioni economiche e sociali da un lato, quell’area di complicità e di collusione da un altro lato, quella dimensione di consenso e di condivisione di valori e modelli culturali da un altro lato ancora; e questo riconoscimento è indispensabile per contrastare efficacemente tutti questi livelli che rendono la ‘ndrangheta così forte e così radicata. Così forte e così radicata da essere persino capace di ridurre la propria visibilità.
La politica culturale di un comune in Calabria non può che essere il terreno su cui costruire concrete iniziative di contrasto. Non si possono programmare iniziative come se si fosse a Treviso, né pensare d’essere a Ravenna quando si promuovono degli incontri o a Novara per un’esposizione d’arte: qui, in terra di mafia, qui a Lamezia e in Calabria, fare politica culturale deve assolutamente coincidere con una strategia di opposizione alla ‘ndrangheta. La cultura deve diventare lo strumento più potente contro l’omertà e quella mentalità che da decenni assicura consenso e sostegno alle mafie del nostro Paese. Le sentenze dei tribunali incarcerano i mafiosi, ma impedire la riproduzione dei mafiosi non è compito di giudici e poliziotti, è la frontiera propria e specifica di enti locali, associazioni, società civile, imprenditori. E su questa frontiera si colloca la politica culturale del Comune di Lamezia; o, almeno, ci prova.
Il Festival dei libri sulle mafie è un tentativo di rovesciare quel contesto, il tentativo d’essere un nuovo strumento contro l’omertà. L’idea di Trame è quella di avere ogni anno un momento di confronto e di verifica attorno alle numerose pubblicazioni su mafia e antimafia. Nell’Italia dei tanti festival letterari e dei tanti premi, non c’era alcuno spazio dedicato a queste problematiche in una situazione doppiamente paradossale: in primo luogo perché negli ultimi anni è notevolmente cresciuto l’interesse dei lettori, soprattutto giovani, e conseguentemente il numero dei libri dedicati ad approfondire aspetti delle realtà mafiose; in secondo luogo perché l’Italia è il paese delle mafie e della più straordinaria antimafia. Con Trame si prova a colmare questo deficit.
Poi c’è un aspetto più specifico che occorre considerare. Con Lirio Abbate abbiamo cercato di offrire un panorama il più “plurale” possibile dei vari modi di pensare e fare “antimafia” nel nostro Paese. Uno degli errori più frequenti è quello di ritenere che l’antimafia sia riducibile ad un solo paradigma, magari quello che oppone alla mafia “mostro invincibile” la figura solitaria dell’eroe, come troppo spesso viene sollecitata dalle rappresentazioni mediatiche e cinematografiche. Ci sono numerose esperienze di antimafia nel nostro Paese così come diverse chiavi di lettura dei fenomeni mafiosi. Noi che abbiamo organizzato Trame pensiamo che questa pluralità non sia un elemento di debolezza e che il confronto non possa che rendere tutti noi più forti nella concreta azione di opposizione alle mafie del nostro Paese.
Un’ultima osservazione per i cittadini di Lamezia e per tutti quelli che parteciperanno alle iniziative del Festival. La presentazione dei libri, ogni sera dalle diciotto a mezzanotte, avverrà in tre luoghi particolarmente significativi della nuova politica culturale del Comune: a palazzo Panariti, il palazzo delle arti e della creatività, un nuovo spazio che in progress raccoglie le più vivaci esperienze creative della città; il cortile di palazzo Nicotera, sede di una biblioteca da rifondare e rilanciare, d’aprire alle più avvertite esigenze culturali dei giovani; la piazza San Domenico, con alle spalle il Museo archeologico e il prossimo polo museale in via di realizzazione e l’antica sala del teatro Umberto destinata a cineclub. Questi luoghi collegati al corso principale della città dovranno essere un’unica area culturale e, a partire dal 22 giugno, un’area di libertà.
Tano Grasso
Assessore alla cultura del Comune di Lamezia Terme e
Presidente onorario della FAI (Federazione antiracket italiana)