“Non è mai buon segno, la rimozione. Come l’oblio o la perdita della memoria. Sono tutti sintomi, imparentati ma diversi, di debolezza o di malessere. Negli individui come nei popoli o nelle comunità. Si associano sempre alla perdita di una parte grande o piccola della propria identità. Questo libro nasce per impedire che una piccola ma significativa perdita di identità si completi: quella della società italiana di fronte alla sua storia, alla storia di cultura accumulata per combattere un nemico che ne ha messo a dura prova la democrazia colpendola ripetutamente al cuore. Un nemico che si chiama mafia. […]”

Inizia così “Contro la mafia”, il nuovo libro di Nando Dalla Chiesa, presentato al Trame Festival nella prima serata dell’evento. A parlarne con l’autore i giornalisti Alberto Nerazzini e Gianfranco Manfredi. Un libro, afferma Nerazzini, che riesuma documenti dimenticati e culturalmente fondamentali per comprendere a fondo le origini e quindi gli sviluppi della mafia siciliana:  “Un modo per contrastare l’anoressia che ha colpito la cultura sociale de paese”. Il volume cerca di individuare le cause del fenomeno mafioso tramite un’accurata ricerca di testi sull’argomento a partire dal 1877, con il viaggio in Sicilia compiuto dal livornese Leopoldo Franchetti che realizzò insieme a Sidney Sonnino una formidabile inchiesta sulle condizioni politiche e amministrative della Sicilia. Nel libro scorrono nomi e testimonianze di tanti uomini coraggiosi che hanno dato la vita per liberare la propria terra. Come Giuseppe Fava, giornalista e fondatore de “I Siciliani”, ucciso da Cosa Nostra il 5 Gennaio del 1984, per aver “peccato” di libertà. Dalla Chiesa racconta di un episodio avvenuto in un liceo di Catania, quando aveva chiesto ai ragazzi chi di loro avesse mai sentito parlare di Pippo Fava: “Solo un ragazzo aveva timidamente alzato la mano in fondo all’aula, la cosa mi sconvolse.” Non è possibile, sostiene Dalla Chiesa, che certi eventi, fondamentali per la nostra storia, siano stati così facilmente rimossi. Il libro vuole quindi essere “un’operazione culturale, più che di denuncia, anche se quest’ultima c’è: quella di aver dimenticato chi ha scritto di queste cose prima che iniziasse il ciclo dei “delitti eccellenti”. Di avere dimenticato Dolci, Pantaleone, Levi, Fava, Stajano e tanti altri come loro”.

Il problema principale che emerge dall’intervento dello scrittore è dunque la mancanza di una tradizione orale fondamentale in quanto “collante” tra le generazioni: “L’antidoto” – conclude Dalla Chiesa – “è il racconto veritiero che combatta l’ignoranza seminando consapevolezza: non raccontare significa infatti lasciare la storia nelle mani dei “vincitori” ovvero di coloro  che hanno più mezzi a disposizione.”

g.g.