È stato presentato a Trame, nel chiostro di San Domenico, “Come nuvole nere – Vittime innocenti” il nuovo libro del giornalista e scrittore anticamorra Raffaele Sardo, edito per la casa editrice milanese Melampo.

Un volume nato grazie alla preziosa collaborazione della Fondazione Pol.I.S., ente della Regione Campania impegnata da anni in attività di sostegno ai familiari delle vittime innocenti della criminalità e nell’accompagnamento ai soggetti deputati alla gestione dei ben confiscati alla criminalità organizzata.

Tutti i diritti d’autore del libro, infatti, saranno devoluti alle attività di sostegno ai familiari che la Fondazione Pol.I.S. svolge, al fine soprattutto di non abbandonare coloro che hanno perso un proprio familiare per mano criminale e così arginare quel fenomeno di solitudine che troppo spesso è divenuto un comune denominatore per la vita di padri, madri e figli che continuano a piangere sulle tombe dei propri cari.

Un fenomeno che è ormai un’emergenza sociale da affrontare con forza e determinazione, soprattutto in Campania che rappresenta la Regione italiana al primo posto di questa triste classifica; emergenza dovuta anche alle troppe assenze delle istituzioni che in molti casi, purtroppo, hanno completamente abbandonato coloro che sono stati vittime di un episodio delittuoso.

Alla presentazione hanno preso parte, oltre l’autore di origine casertane, anche il giornalista Francesco Vitale e il fratello di una delle vittime raccontante nel libro, Francesco Morlando, fratello di Mena Morlando uccisa a Giuliano, in provincia di Napoli, il 17 dicembre del 1980, sotto casa mentre si recava in lavanderia. Obiettivo dei killer era Francesco Bidognetti che riuscì a sfuggire all’agguato divenendo poi uno dei leader indiscussi del clan Casalesi.

Sardo racconta diverse microstorie di una Campania violenta ed inquieta, dove si può morire aspettando l’auto dal meccanico oppure uscendo dal proprio luogo di lavoro. Troviamo il magistrato che rifiuta la scorta, il “falco” rispettato da tutti, il giovane poliziotto che viene ucciso a venti anni appena poche settimane dopo il suo trasferimento a Roma. Ventidue storie in tredici anni, dal 1973 fino al 1986, dall’uccisione dell’agente di polizia Antonio Marino, originario di una frazione di Caserta, il 12 aprile 1973 a causa dello scoppio di una bomba a mano lanciata da alcuni neofascisti a Roma, fino a giungere al 1986 quando Mario Ferrillo, un impresario teatrale di 41 anni, viene giustiziato per errore in un negozio da parrucchiera a Licola Mare, sul litorale domizio, perché assomigliava come una goccia d’acqua ad un affiliato del clan Bardellino, a sua volta trucidato appena un mese dopo. Ventidue storie, solo una piccola parte delle trecento e forse più vittime innocenti della criminalità e del terrorismo che tutti noi abbiamo l’obbligo di non dimenticare, come sottolinea Paolo Siani, Presidente della Fondazione Pol.I.S. e fratello di Giancarlo, il giornalista ucciso dalla camorra il 23 settembre 1985, nella prefazione del libro.

Un testo che ripercorre le tragiche morti di tanti innocenti, ma anche alcune delle vicende più significative e drammatiche della storia italiana degli ultimi quarant’anni: brigate rosse, strategia della tensione, terremoto dell’Irpinia, bombe neofasciste, i legami ancora del tutto da chiarire tra terroristi, servizi segreti e Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo. Ad ogni storia fa da sfondo il contesto sociale e politico che l’Italia viveva durante gli anni di piombo, mostrando quindi un quadro completo di ciò che il paese ha dovuto affrontare e superare.

Ma “Come nuvole nere” è soprattutto un libro che ripercorre la quotidianità di tante famiglie a cui la felicità è stata strappata in pochi minuti, in un attimo, in un sparo: il corredo da preparare per l’unica figlia femmina, il caffè mattutino come primo e forse unico momento di relax prima di una giornata di duro lavoro, le ansie e le preoccupazioni per il futuro dei figli, i doppi lavori, le gioie e i desideri di giovani sposi, l’obbligo per molti di entrare in polizia per sfuggire alla miseria e alle difficoltà dei territori del sud, l’impegno di quei magistrati che lontano dagli affetti vivevano costantemente con la paura di essere i prossimi bersagli ma che nonostante ciò continuavano a lavorare e a vivere come se nulla fosse.

Paure, angosce raccontate con fermezza e con tanta dignità da Francesco Morlando, l’ultimo che vide in vita sua sorella Mena. Il proiettile uccide non solo una persona, ma la sua intera famiglia, ti toglie la voglia di vivere, di affrontare la tua vita serenamente. Continua solo la vita biologica, aspettando di raggiungere il proprio caro. In particolare tutto ciò si accentua quando lo Stato ti abbandona, così come ha dichiarato amareggiato lo stesso Morlando: “ Siamo stati abbandonati dalle istituzioni, in 18 anni nessuno ci ha mai chiamato. Solo grazie al magistrato Cafiero de Rao, che ha voluto riprendere in mano la storia, siamo riusciti ad ottenere un minimo di giustizia”. Difficoltà che aumentano quando scatta quel meccanismo di diffamazione delle vittima, quando i giornali descrivono con approssimazione la vicende. Così come per Mena Morlando, definita una semplice maestrina uccisa per un delitto passionale, addirittura paragonata ad una prostituta in alcuni casi.

In questo libro, Raffaele Sardo ha avuto la capacità di entrare in contatto empatico con i familiari delle vittime, incontrarli, capirli, emozionarsi insieme a loro, dare voce al loro bisogno di raccontare la verità, quella che spesso non si trova nei quotidiani o nei dibattiti processuali. Ha avuto la bravura e la sensibilità di ascoltare nel profondo i ricordi di anziani genitori che narravano con gli occhi lucidi la morte dei loro figli oppure di riportare minuziosamente i pochi ricordi di quei figli a cui un genitore è stato ammazzato quando erano poco più dei bambini. Sono loro i veri protagonisti di questo lavoro, i tanti familiari, ma anche amici e colleghi, che con i loro racconti forniscono un bel mosaico di resistenza civile. Sono loro che hanno scelto di abbandonare quella solitudine e sofferenza che li ha accompagnati per anni, per far spazio alla memoria, per dare un contributo sostanziale al ricordo di tutte le vittime innocenti, magistrati, semplici passanti o giornalisti che siano.