Non tutte le storie sono a lieto fine, e persino gli eroi più coraggiosi a volte devono arrendersi all’evidenza.

E’ quello che è successo a Giacomo di Girolamo, una vita passata tra il fuoco della mafia e quello dell’antimafia.

A 14 anni, apprendere in un’edizione straordinaria di un Tg, con l’assassinio di Giovanni Falcone, che la mafia c’è, esiste, è reale, gli fa scoprire la sua strada: “bisogna fare qualcosa”. Di seguito, la strage di Via d’Amelio fu per lui una chiamata definitiva alle armi.

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Attilio Bolzoni, Franco La Torre

Nacquero Comitati, reti civiche, slogan, processi… e una scia di corruzioni. Nacque la frenesia di appartenenza che tramutò l’antimafia in sensazionalismo e protagonismo. Iniziò così la reiterazione di riti e mitologie, di gesti e simboli svuotati di significato. Prese piede l’oligarchia dell’antimafia, che non ammette obiezioni o polemiche al suo operato: uomini politici e cercatori di fortuna che si spartiscono finanziamenti pubblici per progetti sulla legalità che spesso finiscono col ridursi a qualche frase ad effetto in indefinibili comizi fatti nelle scuole.

“Tutto ciò che non vorremmo mai sentire sulla mafia è racchiuso nel libro di Di Girolamo”, secondo Franco La Torre, per il quale se l’avversario non si conosce, non c’è possibilità di reagire, di contestare, di far sentire il proprio disgusto e la volontà di dissociarsi.

Proprio per questo la nostra lotta alla mafia diventa ogni giorno più dura: una volta si vedevano a terra i suoi cadaveri, poi è stata rappresentata dietro le sbarre o in aule di tribunali, ma ora la mafia è invisibile, non è tangibile, e non vedendola è impossibile combatterla.

Ciò su cui concordano tutti i protagonisti di questo sabato a Trame.6 è la necessità di creare una cultura dell’antimafia, perché “le forze dell’ordine curano i sintomi, ma non le cause”. E senza cognizione è inutile parlare del fenomeno, costruire castelli di sabbia e restare ancorati a vicende del ventennio scorso.

Trame.6 | lContro l´antimafia

Giacomo Di Girolamo

Giacomo di Girolamo racconta la sua sconfitta in Contro l’antimafia al suo nemico per eccellenza, Matteo Messina Denaro, il più potente boss di cosa nostra ancora in libertà. La stanchezza e la disillusione conseguente alla scoperta che esiste mafiosità nella stessa antimafia lo portano ad una resa che è la triste storia della sua vita. Le parole utilizzate scorrono come un fiume in piena di ricordi, a tratti con ironia, a tratti con rassegnazione, ma sempre con la voglia di provocare, di accendere una fiamma di orgoglio e di ribellione degli Italiani, specialmente al Sud. E chiude con una promessa che sembra l’antitesi del suo stesso libro: parlare di mafia, combatterla, vincerla.

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