Uno storico, un sociologo e un giornalista. Tre punti di vista differenti sul tema unitario dell’infiltrazione mafiosa nel Nord Italia. L’operazione Infinito, fatta in maniera congiunta dalle procure di Milano e Reggio Calabria, è stata uno spartiacque. Per Giampiero Rossi, autore di La regola. Giorno per giorno la ‘ndrangheta in Lombardia, “l’inchiesta è stata una sorpresa non per i cronisti, ma per la gente dell’hinterland milanese, che ha preso coscienza che la forma mentis mafiosa ha impermeato gli imprenditori del nord”.

Entra poi in media re: “La mafia non spunta dal nulla, la storia del radicamento delle mafie al Nord origina almeno dagli anni 50, dal flusso migratorio, ma la classe dirigente ha cercato di non riconoscerlo, per strumentalizzazioni o per opportunità. L’arrivo di questa metastasi, cancro o virus, com’è stata definita, non è stata un’invasione, s’è chiaramente scoperto che nell’imprenditoria lombarda brianzola, cuore pulsante dell’economia, c’era una domanda di mafia”. Rocco Sciarrone, sociologo e docente all’Università di Torino, originario della piana di Gioia Tauro, sottolinea che il suo libro, Mafie del Nord. Strategie criminali e contesti locali, è il risultato di una ricerca sociologica, un lavoro collettivo durato più di 2 anni”, partendo dall’evidenza giudiziaria, andando poi sul campo a raccogliere dati e fare interviste.

Significativo il titolo, dove non si parla di mafie “al” Nord, ma “del” Nord: “storicamente le mafie non sono un fenomeno del Mezzogiorno, piuttosto i primi processi di espansione territoriale delle mafie riguardano le aree del Mezzogiorno”. Nella metodologia adottata dal team l’obiettivo di fondo è stato capire i meccanismi con cui le mafie si riproducono nel tempo e nello spazio. “Per molto tempo la tesi dominante era che la mafia fosse un fenomeno territoriale: la ‘ndrangheta ci può essere in Calabra, non altrove. Ad essere mafiosa non è l’individuo ma il contesto”. Si è rivelata tesi erronea, al pari delle attuali metafore del contagio, per cui la mafia è un virus che invade il corpo sano, e dell’esercito che invade un territorio vergine colonizzando. Sempre netta è la polarità noi-loro, l’idea dell’alterità che non ci appartiene.

Sciarrone si sente di rifiutare ogni posizione mafiocentrica: “per chi si occupa di mafia è come se tutto le ruotasse attorno, invece dobbiamo trovare delle variabili indipendenti che cercano di spiegarci il fenomeno”. Lo studio di Sciarrone indaga le mafie in aree “non tradizionali”: Lombardia, Piemonte, Ponente ligure, Reggio Emilia, Toscana e Veneto, dando vita a un quadro comparato del Centro-nord. “In alcune delle aree studiate non c’è stato solo il negazionismo, ma anche il malfunzionamento delle forze dell’ordine o della magistratura, dell’antimafia. La mafia può divenire un alibi per non guardare ad altri fenomeni”. Il sociologo sposta poi il focus altrove: “è giusto conferire complessità a questo fenomeno, dovremmo però capire i processi e anche i punti di debolezza, non solo di forza delle mafie. Le mafie vanno in zone in cui ci sono pratiche già diffuse di illegalità, conta moltissimo l’accoglienza della mafia da parte del Nord”. Attenzione merita anche la configurazione di aree grigie: territori non di piena e diffusa illegalità, ma di più completa e pericolosa commistione tra legale e illegale, dove non basta centrare l’attenzione solo sui mafiosi ma anche sugli altri attori, quali politici e imprenditori. Michele Albanese, del Quotidiano del Sud, interroga infine lo scrittore Isaia Sales su cosa dovrebbe fare la società civile. Si sente rispondere che “se ci fosse piena consapevolezza che le mafie sono un problema dell’Occidente, e non del Sud, questo aiuterebbe anche a superare il contrasto. Siamo ancora lontani dallo studiare il fenomeno al Nord, per cui questi libri sono fondamentali”.

Una forma mentis ancora arretrata dunque, sebbene il fenomeno della mafia al Nord sia stato studiato abbastanza bene e in fretta, mentre al Sud ha richiesto decenni. “Il problema però non riguarda gli studi, ma chi deve spostare l’analisi sulle mafie. È un’opportunità quello che sta accadendo al Nord, abbiamo la possibilità di spostare l’asse che ha caratterizzato la percezione del fenomeno mafie”. Sales riconosce una fase di negazionismo che portava Letizia Moratti ad usare eufemismi: “si dice criminalità organizzata e non mafia perché la prima non si riproduce immediatamente, mentre le mafie si, segnalano subito che c’è qualcosa che non va. Accettare che le mafie non siano extra-moenia significa dover riflettere sulla società del Nord, perché se un fenomeno è complesso la cosa più semplice è dare responsabilità alle vittime”. L’intento didascalico giunge chiaro: l’Italia del Centro-nord non può più rispondere a Cosa nostra “è cosa vostra” e per ostacolare un’economia drogata si deve ripartire da un’analisi economica delle mafie.