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“Non è successo niente”: come la fantasia racconta la cruda realtà

Dal giornalismo ai consigli letterari, Stefano Iannaccone dialoga con Nello Trocchia sul suo romanzo

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di Carlotta Cerra

Nella frenetica Roma, quattro storie e quattro personaggi si intrecciano: sono storie di resistenza e ribellione, che rivelano ciò che di più marcio esiste in questo mondo, in cui l’apparenza conta più di ciò che è. 

Questo è il nucleo tematico di “Non è successo niente”, il romanzo presentato da Stefano Iannaccone durante la penultima giornata di Trame Festival. Una serie di «racconti in un racconto» che mostrano la disillusione legata, specialmente, alle nuove tecnologie. 
Un libro, quello di Iannaccone, che nasce in realtà dalla penna di un giornalista, ma che riesce a coniugare lo spirito critico delle inchieste e la fantasia di uno scrittore. 

Proprio sul rapporto tra realtà e fantasia vertono le prime domande del moderatore Nello Trocchia, che indaga gli aspetti più personali del romanzo: 

«In questo libro c’è la parte di me che osserva. Quella che non fa la cronaca ma che inventa a partire dalla realtà» spiega. 
Ogni personaggio condivide un frammento della sua esperienza con l’autore, a partire da Elisabetta, un’attivista femminista da poco diventata deputata, che viene risucchiata dal microcosmo del Parlamento. 

«Il giornalismo mi ha permesso di entrare molto a contatto col Parlamento» dichiara Iannaccone. 
Ed è proprio in quello che Trocchia definisce un «universo parallelo», che si rischia di cadere nel disincanto, lo stesso in cui è finita la protagonista. 
L’unico modo per superarlo, sostiene, è la passione. Quella passione che Elisabetta rischia di perdere. 
È per questo motivo, prosegue, che questa protagonista è un esempio di resistenza, come lo sono, a modo loro, tutti gli altri: Alexis, il blogger intrappolato nell’illusione dei social, o ancora Carola, il personaggio che mostra le difficoltà della periferia. 

Iannaccone, tuttavia, non si dilunga troppo in merito alla trama del romanzo, concentrandosi invece sulla sua attività letteraria e su come ha iniziato a confrontarsi con il genere nuovo del romanzo. 

«Mi aiuta molto a spaziare- dice l’autore- a raccontare le storie in ottiche diverse». 

Da giornalista, è più difficile entrare in empatia con le persone con cui ci si confronta. «Il romanzo mi permette di farlo». 

Confrontandosi con un suo collega, tuttavia, Nello Trocchia non ha potuto fare a meno di concentrarsi anche sull’attività giornalistica dell’ospite: 

«Quando si maneggiano i diritti c’è bisogno di responsabilità» dice il moderatore, mostrando quanto il giornalismo possa inficiare sulla reputazione delle persone. Poi la domanda scomoda sul delitto di Garlasco: 

«Secondo te, che figura sta facendo la nostra categoria alla luce del caso di Garlasco?»

 Iannaccone, però, non si esprime nello specifico sulla questione:

«La ricerca spasmodica di ciò che è interessante diventa qualcosa di diverso dalla narrazione dei fatti. Questo non è giornalismo» dice l’ospite, che fa poi riferimento al caso Turetta:

«Non trovo questa necessità di costruire “mostri”-dichiara- mi piacerebbe scrivere un romanzo su un cattivo, ma non mi piace la descrizione morbosa del “mostro” nel giornalismo. C’è bisogno di rispetto e responsabilità». L’ospite, in compenso, chiude il discorso difendendo una buona parte della sua categoria che si impegna nel perseguire un giornalismo corretto: «Non ci sono solo “giornalisti-iene”» sostiene.

Scivolando verso la fine, Trocchia ha riportato l’attenzione sull’attività letteraria, domandando all’autore consigli di lettura, ma anche su come superare il blocco dello scrittore. 

«La soluzione vera è quella di non fissarsi troppo sulle pagine- dice- ma una buona soluzione è anche quella di nutrirsi di libri». 

E dopo una rassegna di autori consigliati, da Don De Lillo a Veronesi fino a Diego De Silva, un’ultima domanda è affiorata dalla platea: 

«Durante la fase di creazione, che rapporto ha con la realtà?». 

«Ricavo i miei personaggi osservando la realtà, le persone in treno ci sono sempre mille storie». Conclude l’ospite. 
 

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