"Con l'abuso d'ufficio cancellato, oggi scopriremmo la metà delle corruzioni".
Salvatore Curcio, procuratore capo di Catanzaro e volto storico dell'antimafia calabrese scatena la sua accusa in un'intervista a Pietro Comito sul palco di Trame14:
"Quel reato era il grimaldello per scoperchiare concussioni e truffe. Senza, coi fondi PNRR è un disastro annunciato".
Lo sfregio al sistema
Appoggiando sul tavolo i titoli di giornale, Curcio indica i casi emblematici: "Quel dirigente ASL che bloccava concorrenti di suo figlio? Quel concorso truccato per assumere potenti? Prima bastava un atto illegittimo per aprire indagini su reati maggiori. Ora abbiamo perso lo strumento principe". La statistica che brucia: "Dicevano fosse inesistente? Vero: solo il 2% delle denunce finiva in condanna. Ma il 100% delle maxi-inchieste partiva da lì".
La farsa della riforma
Quando Comito gli mostra il sondaggio Sky TG24 (49% italiani favorevoli alla riforma della giustizia), la reazione è un misto di autocritica e sdegno:
"Dobbiamo spiegarci meglio ai cittadini. Ma chi vende la separazione delle carriere come soluzione ai processi lunghi mente: i tempi resteranno di 5-6 anni. E i presunti favoritismi tra PM e giudici? Franco Coppi ha ragione: in 40 anni mai visto un caffè alterare una sentenza".
Poi il pugno sull'acceleratore:
"Il vero pericolo è creare pubblici ministeri senza 'cultura della prova'. Se li separiamo dalla mentalità giudiziaria, diventano cacciatori di teste. E quando un PM pensa solo agli arresti-facile, le garanzie costituzionali saltano".
Lo scontro con Occhiuto
Sul caso del presidente della Regione Calabria Roberto Occhiuto (indagato per fondi europei con la famosa frase: "Amministro una regione difficile, non ho tempo per queste stronzate"), Curcio reagisce con gelida precisione:
"Gli è stato notificato tutto regolarmente. Noi non gestiamo numeri ma vite umane: libertà e patrimoni dei cittadini. Chi amministra dovrebbe capirlo prima di parlare".
L'allarme-eredità
Con un riferimento ai suoi maestri, il procuratore chiude con un monito che suona come testamento:
"Falcone e Borsellino furono giudici prima che eroi. Quell'incrocio tra indagini e cultura giuridica era la nostra forza. Smantellarlo significa regalare alla 'ndrangheta investigatori senza scrupoli".