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Il coraggio di Rosa: storia di una donna che ha ripudiato la ‘ndrangheta

La magistrata Marisa Manzini racconta la storia di una donna che sfida la ’ndrangheta, tra finzione e realtà, per dare voce a chi sceglie di non piegarsi

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di Anna Pagliaro e Serena Savatteri

 

Durante la sesta e ultima giornata di Trame, Festival dei libri sulle mafie, si è svolto l’incontro tra la giornalista Maria Francesca Gentile e la magistrata Marisa Manzini, che ha presentato il suo libro Il coraggio di Rosa. 
All’interno dell’opera, la vita di Rosa Bellomo, membro di una famiglia onesta, cambia radicalmente quando viene notata da Antonio Mandelli, personaggio di spicco della ‘ndrangheta di Nicotera (CZ). Dopo essere rimasta incinta, prendendo coscienza dell’isolamento a cui è sottoposta, a causa della nuova dimensione mafiosa di cui ormai faceva parte, Rosa decide di ribellarsi a questo destino apparentemente inesorabile e di collaborare con una giudice proveniente dal nord, che ottiene la sua fiducia e le mostra una via d’uscita. 
Secondo Manzini, la resistenza di Rosa rappresenta un ideale che, purtroppo, al giorno d’oggi è difficile da perseguire: «all’interno delle famiglie ‘ndranghetiste, la donna è controllata dal marito e non può rivolgersi alla polizia- spiega l’autrice- deve attenersi a regole come quelle dell’omertà, poiché rischierebbe di essere intercettata e uccisa. Le normative italiane sulla violenza di genere non vengono attuate in tali famiglie, ma queste forme di violenza, pur non essendo portate all’attenzione, esistono». 
Le dinamiche violente appartenenti a questi contesti sono estreme: esistono casi di donne che, con la speranza di una redenzione da parte dei loro mariti ‘ndranghetisti, sono tornate a casa dopo aver collaborato con lo Stato e sono successivamente cadute vittima del cosiddetto “suicidio di mafia”, ovvero l’induzione forzata al suicidio da parte di un membro di un’organizzazione criminale a scopo punitivo. Se la storia di Rosa si conclude con un lieto fine, nella realtà ciò spesso non avviene: Manzini afferma, infatti, di essersi interfacciata con una donna il cui destino si è rivelato opposto a quello riservato alla protagonista del romanzo «la mia storia è una riscrittura di questo episodio» . Nelle famiglie criminali, inoltre, sussiste un controllo ossessivo di persone e luoghi, che si riflette inevitabilmente sulle dinamiche coniugali. 
Ma come si può modificare una sorte che sembra già essere stata decisa? Secondo la magistrata, puntare sull’educazione delle nuove generazioni è il primo passo verso il cambiamento: alla madre spetta il compito cruciale di provvedere alla formazione dei figli sul piano sentimentale e culturale, affinché possa rappresentare un modello di vita positivo per loro. Un altro importante punto di riferimento per i giovani è sicuramente l’ambiente scolastico che «deve agire sulle agenzie educative e permettere ai docenti di essere preparati su questo tema» , ha dichiarato Manzini. 
Il coraggio di agire, come la tutela della vita di chi sceglie di intraprendere questa scelta, è fondamentale per garantire un futuro a chi, in questo momento, sta sognando un epilogo come quello di Rosa. 

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