di Sergio Scarpino
«Giancarlo Siani non è stato un eroe. È stato un modello di giornalismo. Amava il suo lavoro, raccontava la realtà con coraggio e precisione. Terra nemica è la sua storia». Con queste parole Giovanni Tizian, direttore artistico di Trame, ha aperto l’incontro Nel nome di Siani, svoltosi nella serata di venerdì 20 giugno alla piazzetta San Domenico, dedicato al giovane cronista assassinato dalla camorra nel 1985, a quarant’anni dalla sua uccisione.
A intervenire in apertura, in collegamento, Paolo Siani, fratello di Giancarlo, che ha ricordato l’importanza del gesto collettivo della memoria: «Ricordare Giancarlo è ogni volta un piccolo miracolo. Dimenticarlo sarebbe stata una sconfitta, per me e per tutti quelli che credono nel giornalismo come strumento di verità».
Subito dopo ha preso la parola Pietro Perone, autore del libro Terra nemica: Giancarlo Siani (Edizioni San Paolo), uscito in occasione del quarantennale. «Giancarlo voleva fare una sola cosa: il giornalista - ha detto - riteneva che il giornalismo fosse un modo per migliorare la società. Voleva dimostrare come la politica fosse una cosa sola con la camorra. Il libro racconta quel contesto perché quel contesto esiste ancora. Giancarlo è un modo di intendere questo mestiere. Se riscopriamo cosa faceva quarant’anni fa, possiamo farlo meglio anche oggi».
La cronista giudiziaria Graziella Di Mambro, attiva nel Lazio e membro dell’associazione Articolo 21, ha denunciato i rischi per la libertà di stampa: «La riforma Cartabia attribuisce poteri smisurati ai procuratori, mentre quella Costa vieta la pubblicazione delle ordinanze cautelari. È un ostacolo concreto al racconto giornalistico. In Campania ci sono più giornalisti sotto scorta che altrove. Il governo risponde alle denunce della cronaca con norme che impediscono di raccontare».
Nello Trocchia, giornalista investigativo e volto di programmi come Piazzapulita e Domani, ha offerto una riflessione amara e autocritica: «La vera “terra nemica” siamo noi. Il conformismo che ha invaso la nostra categoria è il vero pericolo. Un tempo l’informazione faceva la differenza. Se oggi continuiamo a comportarci così, l’insegnamento di Giancarlo non ci porterà da nessuna parte».
È poi intervenuto Mimmo Rubio, cronista campano, che ha parlato con franchezza: «Dopo trent’anni di professione, mi chiedo se ho avuto più da temere dalla politica o dalla camorra. Giancarlo raccontava i problemi reali delle comunità. Ho rinunciato alla mia vita privata per fare questo mestiere. Quando ho toccato un senatore, ho capito quanto sia fragile la nostra posizione».
Vittorio Di Trapani, presidente della Federazione Nazionale della Stampa Italiana (FNSI), ha denunciato l’attacco alla professione: «Il Presidente del Senato ha definito in diretta, su Rai 1, i giornalisti di Report come “calunniatori seriali”. È il segnale di un clima pericoloso. E la verità è che il tempo per studiare, approfondire, documentare è sempre meno. Questo è il problema».
Nel suo secondo intervento, Paolo Siani ha mostrato una lettera scritta da Giancarlo alla compagna Chiara, datata 8 giugno 1985:
«In quella lettera annunciava un libro-dossier a cui stava lavorando, con tanto di copertina. Giancarlo aveva ricostruito i rapporti tra i clan camorristici del Vesuviano e, su un foglio, tracciò una retta che collegava tutto alla “mafia – Sicilia”. Quando raccontò dell’arresto di Gionta, toccò un nervo scoperto. In Sicilia furono uccisi otto giornalisti. In Campania uno solo: mio fratello. E la cosa più dolorosa è che il suo stesso giornale non pubblicò la notizia della sua morte».
A concludere l’incontro, l’autore Pietro Perone ha lasciato spazio all’emozione: «Questo libro è anche un rimpianto. Non averci mai lavorato insieme è un dolore che mi porto dentro. Ho ritrovato Giancarlo nel volto di Paolo, nel sorriso di Gianmario, suo nipote. Nel quarantennale del suo assassinio ho sentito il bisogno di ricordarlo anche come il collega che mi è mancato».
La voce di Giancarlo Siani continua a risuonare. Non come eco lontana di una tragedia, ma come presenza viva, necessaria, in un mestiere che ha ancora bisogno di memoria, rigore e coscienza.