È una strana vicenda quella che riguarda la morte di Attilio Manca, un giovane medico originario di Barcellona Pozzo di Gotto che venne trovato morto nel suo appartamento a Viterbo il 12 febbraio del 2004.

In una fredda mattina di febbraio, a Viterbo, un giovane medico siciliano viene ritrovato per terra in una pozza di sangue. Due buchi nel braccio sinistro, due siringhe da insulina a poca distanza. Una vicenda strana chi i giudici della procura di Viterbo hanno più volte voluto circoscrivere ad un caso di suicidio per overdose. Da dieci anni i familiari sostengono invece che si sia trattato di un vero e proprio omicidio di mafia.

Luciano Mirone racconta nel libro – “Un “suicidio” di mafia. La strana morte di Attilio Manca” presentato assieme a Filippo Veltri ed al fratello di Attilio Manca, Gianluca, una vicenda intricata ed incredibile, piena di colpi di scena ed omissioni investigative, di chiamate misteriosamente sparite dai tabulati telefonici e di strani silenzi: una morte da collegare all’operazione di cancro alla prostata a cui è stato sottoposto nel settembre del 2003 a Marsiglia il boss Bernardo Provenzano visitato prima e dopo l’intervento dal giovane urologo siciliano.

E tutto ciò, come sottolinea la famiglia Manca in una regione, il Lazio, dove la mafia è sbarcata da alcuni anni e la massoneria comanda indisturbata.

Gianluca Manca, nel corso della serata, ha continuato a pretendere a gran voce giustizia raccontando come l’Avvocato della sua famiglia, l’ex pubblico ministero, Antonio Ingroia, ha scoperto numerose omissioni nell’indagine coordinata dalla Procura di Viterbo che ha sempre sostenuto una presunta tossicodipendenza di Attilio Manca quale causa della sua morte richiamando altresì le responsabilità del Commissario di polizia, Salvatore Gava, attualmente agli arresti domiciliari per alcune vicende legate al G8 di Genova.