Durante queste giornate di festival Palazzo Nicotera siha ospitato il workshop “Cose mai viste. Le mafie sono luoghi molto comuni” a cura di Fabio Truzzolillo ricercatore calabrese e Manoela Patti, ricercatrice in Storia Contemporanea e autrice di “La mafia alla sbarra. I processi fascisti a Palermo”.

I due storici hanno raccontato alcuni momenti poco noti o addirittura sconosciuti della storia criminale di Calabria e Sicilia. Hanno rivelato che la storia delle due mafie presenta molti punti di contatto e alcune differenze. Lo scarto più lampante è sicuramente il silenzio che, a differenza della mafia siciliana, ha avvolto la ‘ndrangheta. La congregazione calabrese, per molto tempo addirittura, non ha avuto un nome con il quale la società civile potesse identificarla. Il suo battesimo pubblico lo ha ricevuto solo nel 1955, dopo settant’anni di piena attività. Emersa dalle carcerari del regno d’Italia, la ‘ndrangheta ha attecchito nel territorio calabrese sempre di più e, pur provenendo dai bassifondi, è riuscita a creare legami con piccoli e medi proprietari e amministratori spregiudicati che non si sono fatti scrupolo di utilizzare, a propri fini, la violenza mafiosa.

Tra le Cose mai viste raccontate da Fabio Truzzolillo, attoniti lascia la storia dell’incendio del tribunale di Reggio Calabria appiccato, nel 1919, da alcuni ‘ndranghetisti, nei confronti del quale pochissimi sono stati gli approfondimenti sui giornali e praticamente nullo l’interessamento del potere centrale. D’altronde in quegli stessi anni un noto avvocato, ex deputato giolittiano, stava curando la riabilitazione giudiziaria, del boss del tempo Michelangelo Campolo, capo del “Gran Criminale”, l’organo di vertice della ndrangheta, come avrebbero scoperto i giudici reggini negli anni ’30.

Dopo l’excursus calabrese Manoela Patti ha smascherato le contraddizioni e le insufficienze della repressione fascista, evidenziando il carattere strumentale e a volte propagandistico della famosa e spettacolare operazione Mori e raccontando, cosa sconosciuta ai più, alcuni episodi della seconda repressione fascista, durante la quale, cinquant’anni prima di Buscetta, un collaboratore aveva già rivelato agli inquirenti la complessa struttura della mafia siciliana. Un deficit di memoria storica e civile, questa la conclusione comune dei due storici, ha favorito per troppo tempo il rafforzamento del fenomeno mafioso. L’antimafia in Italia non può essere solo emergenziale, ma deve essere un percorso di conoscenza e consapevolezza collettiva.