«Chiamatelo caporalato, chiamatela esternalizzazione. La sostanza è un sistema a strati in cui il livello superiore scarica sull’inferiore disagi, costi e problematiche».

Sembrava un metodo tipico dell’agricoltura del Sud Italia, un pianeta lontano e inquietante fatto di alloggi di fortuna, baracche e fango, caporali brutali e ditte mafiose. Oggi quel sistema è la normale economia italiana. Nei centri commerciali dove le commesse pagano le perdite. Nelle scuole materne della capitale dove le supplenti si alzano alle tre del mattino per un lavoro a chiamata che non ci sarà. Nelle acciaierie romagnole dove il padrone ruba il salario senza pentimento. Ma anche nei cantieri edili della Salerno – Reggio Calabria dove la ditta in subappalto ti faceva morire soffocato nel cemento. Nel polo logistico padano dove attendi nel piazzale avvolto dalla nebbia il gesto benevolo di un caposquadra. Aziende progressiste e padroni fascisti. Privato e pubblico. Multinazionali e ditte di paese. Tutti ad applicare il nuovo manuale di gestione aziendale come negrieri dell’Alabama. Il lavoro migrante è stato l’oggetto dell’esperimento, le campagne del Sud il grande laboratorio. Poi è toccato a tutti. Ci hanno detto che gli accampamenti di Rosarno erano un problema umanitario, una questione di sensibilità. Oggi quel modello ci ferisce senza distinzioni.

 

Il libro

Pagina tratta da: La rosarnalizzazione del lavoro

Autori: Antonello Mangano

Editore: terrelibere.org