Attenti al gorilla! Viaggio nell’Italia di Fabrizio De Andrè : uno spettacolo con musica dal vivo e narrazione per omaggiare il grande cantautore. Sono Le voci del tempo, la band composta da Marco Peroni, Mario Congiu e Mauro Gurlino in arte Mao. In collaborazione con I libri aiutano a leggere il mondo e l’Associazione Malik calcano il palco di Trame.5, con un buon successo di pubblico, proponendo le canzoni di De Andrè in chiave storica.

Il Faber 24enne col pallino della musica, inguaribile romantico e gran polemico, ostinato contro le ingiustizie della società e le ipocrisie borghesi, che si toglie la soddisfazione di dire sempre ciò che pensa. Un vero e proprio bastian contrario che nasce in una famiglia benestante, ma s’innamora degli esclusi. Quelle triestine “creature della vita e del dolore”: i versi di Saba sono recitati da Mao ad occhi chiusi, modulando la voce in climax ascendente introducendo poi la Genova dimenticata di Faber, la Città vecchia che cerca “la felicità dentro a un bicchiere”. Poi l’Italia del miracolo economico e la sessuofobia dell’operazione antibacio: “il giovane De Andrè inizia a scattare le sue fotografie musicali stando bene attento a dare il primo piano a figure, personaggi, argomenti che non avevano mai trovato posto nel mercato della musica leggera”.

Marco Peroni, Mario Congiu e Mauro Gurlino in arte Mao (foto Mario Spada)

Marco Peroni, Mario Congiu e Mauro Gurlino in arte Mao (foto Mario Spada)

 

È il caso di Bocca di rosa che, contro chi si sentiva “come Gesù nel tempio”, faceva l’amore per passione. Ancora, lo sperimentalismo musicale dei cantautori italiani che si ribellano a miti e riti del miracolo economico e la Preghiera in gennaio per l’amico Tenco, la cui voce “ormai canta nel vento”. “Lo sguardo del cantautore si sposta poi su un immaginario impiegato, sulle sue inquietudini individuali alle prese col mondo che cambia”. Viene riconferita dignità al ragionier Ugo Fantozzi tramite la mediazione di Curzio Maltese: “crollati tutti i muri è l’unico superstite”. Siamo ormai un po’ tutti Fantozzi: “anche se voi vi credete assolti siete lo stesso coinvolti” recita la Canzone del Maggio.

Negli anni ’70, in piena rivolta studentesca e operaia, di fronte alla strategia della tensione e alla forte contrapposizione ideologica, De Andrè riscrive i valori del Cristianesimo, attacca le contraddizioni e riumanizza le figure: in Il testamento di Tito il ladrone pentito passa in rassegna un comandamento dopo l’altro. Con Un giudice è ripercorsa la storia dell’Italia degli anni 70 “attraversata da nuove rivolte e feroci repressioni, stragi di stato e anarchici caduti misteriosamente dalle finestre delle questure”. Con tono sarcastico Don Raffaè permette di ripercorrere la denuncia di Faber su “chi, tra Stato e malavita organizzata, abbia realmente in mano le chiavi del futuro di quella terra”. “De Andrè ha sempre scritto contro un sistema che ogni giorno schiaccia qualcuno coi suoi ingranaggi, ma la sua non è una canzone semplicemente politica. Fino agli anni 90 le sue canzoni sono piene di poesia e amore, e non soltanto rabbia ai nemici. Sanno anche divertire”, come Monti di Mola, bizzarra storia di un giovinetto e un’asina. Dall’ultimo disco, ancora una volta dedicato all’umanità ultima, la title-track Anime salve. Il trio lo ricorda mentre saluta degnamente i suoi giorni. Cantano “mi sono visto di spalle che partivo” e lo fanno rivivere nelle sue parole e nella sua musica.