Il libro di Giuseppe Ardica, edito da Marsilio Editore, è il primo libro presentato durante la giornata inaugurale di Trame a Lamezia Terme, nell’accogliente cornice del Chiostro di San Domenico. Raccontato da Renzo Caponetti, dell’Ass. Antiracket di Gela, affiancato dalla giornalista Bianca Stancanelli, il volume narra le vicende di un gruppo di ragazzini di Gela, considerata tra la fine degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta la città della mafia, che vivevano in una zona da tutti conosciuta come il Bronx, in un enorme disagio sociale e familiare.

Renzo Caponetti, testimone diretto di quegli anni anche grazie alla sua intesa attività anti racket culminata del 2004 con la costituzione della locale Ass. Antiracket, ha contribuito a spiegare come si muovevano i piccoli “re del nulla”. Tutti tra i tredici e i sedici anni, spietati killer che giravano 24 ore su 24 armati per il comune siciliano, assoldati da coloro che volevano fare la guerra a Cosa Nostra. In poco tempo divennero, infatti, il braccio armato della Stidda, di quei pastori che volevano impadronirsi della parte meridionale dell’isola, contribuendo con i loro violentissimi assassini a far crescere a dismisura il potere dell’organizzazione criminale che fino ad allora si era dovuta sottomettere ai capi storici della mafia siciliana. Chi avrebbe pensato che un ragazzino di tredici anni potesse essere un killer semi professionista della mafia? Una copertura perfetta che produsse più di 140 morti in quel periodo. Per ogni omicidio i baby killer ricevevano un premio pari a 500 mila lire, più vestiti, rispetto ed un presunto quanto mai inutile onore. Divennero della macchine per uccidere e lo facevano in modo spietato e quasi inimmaginabile. Alla presentazione del libro si sono alternati i momenti in cui Caponetti ha raccontato come sia cambiata la città di Gela negli ultimi 20 anni, in particolare da quando il 10 novembre 1992 venne assassinato Giordano Gaetano un commerciante locale la cui uccisione venne sorteggiata quasi per caso dai mafiosi dell’epoca. Il delitto venne compiuto da un killer con la faccia da bambino e il sorriso da innocente, così come riportano le cronache di allora. Dietro quel sorriso si nascondeva la vita rubata di un ragazzino a cui era stato insegnato ad uccidere piuttosto che a leggere. Dietro quel delitto c’era un semplice e determinato no, un no dettato dalla voglia di non piegarsi e sottomettersi al pagamento del pizzo. Un no che ha contribuito a dare la forza a tanti uomini, donne e ragazzini di Gela a trasformare la loro città, a ribellarsi e a posizionare all’ingresso della cittadina siciliana un cartello di benvenuto con una scritta chiara e precisa “Gela, città derackhettizata”.