Storie di ordinaria resistenza. Sono le storie di Gaetano Saffioti, Deborah Cartisano, don Pino De Masi, Stefania Grasso, Mario Congiusta, Liliana Carbone, Michele Luccisano.

In una terra assediata dove solo dieci anni fa era impossibile anche solo pronunciare la parola ‘ndrangheta, oggi le parole la sconfiggono. Se ne parla. Si discute. Si scrive. Si racconta, con nomi e cognomi.  Sono gli imprenditori, i figli, le madri e i padri che da quella malapianta hanno mangiato i frutti amari che oggi sono i ribelli.  Giuseppe Trimarchi, giovane giornalista in terra di ‘ndrangheta, ne raccoglie le testimonianze e  traccia lo spartiacque di un tempo “muto”.

Coordina l’incontro il giornalista de l’Espresso Gianfrancesco Turano, uno che di inchieste se ne intende, e nella giornata di apertura del festival dei libri contro le mafie, nello splendido ingresso di Palazzo Nicotera, è presente anche Debora Cartisano, figlia di Lollò Cartisano, fotografo di Bovalino sequestrato e ucciso negli anni in cui l’Aspromonte era la “banca” degli ‘ndranghetisti. Sono passati vent’anni e Deborah è un’instancabile “memoria parlante” di quel dolore . Lo racconta come un viaggio di dolore mai finito, ma con occhi limpidi e dolcezza. a lei viene chiesto il valore della scelta, “una battaglia civica -dice- perché la conoscenza porti alla definitiva sconfitta di un fenomeno criminale che ha arrestato il progresso della nostra splendida terra”.

E poi c’è la testimonianza di Giovanni Stella, membro dell’associazione antiracket, è il simbolo del presente che dice no al pizzo, che testimonia, con la sua presenza le difficoltà di essere imprenditore in terra di ‘ndrangheta. Racconta, parla, pronuncia parole forti che sono segno di un territorio che nel tempo e con non poche difficoltà, sta segnando il passo e decidendo il cambiamento. “Perché ai giovani si deve lasciare il meglio, per loro si deve costruire un presente ed un futuro diverso”.

All’autore, a margine della presentazione,  abbiamo chiesto un luogo simboloin cui, idealmente e materialmente lascerebbe il suo libro. “In carcere- ha risposto- nei luoghi dove si sconta la pena per i reati commessi. Leggere il dolore provocato può essere una pena in più per chi è già condannato dalla giustizia”.