A circa un mese dalla beatificazione di don Giuseppe Puglisi a Palermo, la presentazione del libro di Roberto Mistretta “Il miracolo di don Puglisi” acquista un valore ancora più simbolico. “L’idea di approfondire la figura del parroco” – racconta l’autore – “mi è venuta dopo aver parlato un giorno con il giudice Giovan Battista Tona, anch’egli minacciato dalla mafia”.

Nelle parole di Tona don Pino Puglisi viene descritto come una guida spirituale, una figura così carismatica che ha spinto Roberto Mistretta a guardare quest’uomo da più vicino.

Accanto alla figura del parroco di Palermo, gioca un ruolo molto importante anche il personaggio di Giuseppe Carini, testimone di giustizia dell’omicidio di Don Puglisi, compiuto il 15 settembre del 1993. Il ragazzo ventenne nato e cresciuto a Brancaccio, una delle periferie più disagiate di Palermo, come tanti suoi coetanei della zona subiva il fascino del male e avrebbe voluto diventare un uomo temuto e rispettato, come i mafiosi che sfilavano per le strade di Brancaccio con auto di lusso e vestiti firmati. Don Puglisi ha conquistato Giuseppe e tanti ragazzi come lui in un campo da calcio, senza sermoni ma con un pallone.

L’autore Roberto Mistretta regala un flash della vita del parroco su quel campo da gioco, quando disse provocatoriamente ai suoi ragazzi che a calcio si gioca con le mani. Perplessi gli rispondono che non è vero, che si sta sbagliando. “Ecco, queste sono le regole” – risponde loro – “cominciate a rispettarle”.

La lotta di Don Puglisi stava nella sua presenza costante sul territorio. Il parroco voleva restituire alle comunità gli spazi che normalmente la malavita sottrae agli abitanti, ricuciva i rapporti tra la collettività e un quartiere che i suoi residenti rifiutavano perché prima del suo intervento non aveva nulla da offrire loro.

Per il suo essere completamente fuori da ogni schema predefinito, il vescovo di Mazara del Vallo Domenico Mogavero associa il personaggio di don Puglisi a quello del cardinale Martini, entrambe figure che non possono circoscriversi ad un’unica caratteristica distintiva. “Uno dei grandi meriti di don Puglisi” – aggiunge il vescovo – “sta nell’aver sdoganato la chiesa da un atteggiamento di torpore nei confronti di un fenomeno tanto grave come quello della mafia, proprio nel periodo delle stragi”.

Don Pino era incorruttibile ed era finito nel mirino degli uomini della criminalità organizzata perché sapevano che con lui non ci sarebbe stato dialogo. “Bisogna smentire un luogo comune che ho sentito dire fin troppo spesso” – conclude l’autore Roberto Mistretta – “quello secondo cui don Puglisi è stato ucciso perché era rimasto solo. Lui non è mai stato abbandonato, è sempre stato circondato dalla cittadinanza con cui combatteva le comuni battaglie sociali. Don Puglisi è stato ucciso perché era incorruttibile. Ed è sempre stato un uomo di fatti, non di parole.”