Nei media nazionali non se ne parla ma c’è una parte d’Italia oscurata in cui da anni si combatte una guerra che ha fatto migliaia di morti. È la Calabria di Giovanni Tizian che nel libro “La nostra guerra non è mai finita” intreccia la sua storia personale a quella di una terra martoriata.

Pif "il testimone"

Pif “il testimone”

Bovalino è il paese di origine del giovane giornalista, un piccolo comune nella provincia di Reggio Calabria. In questa terra, la Locride, tra gli anni ’80 e ’90, la stagione dei sequestri ha seminato il terrore. “Da piccolo anche quando giocavo davanti casa, mia madre veniva a prendermi prima che facesse sera” – racconta il giornalista – “per rispettare un coprifuoco che eravamo stati costretti ad autoimporci.” Ma giornali e tv non ne parlavano, a meno che il rapito di turno non fosse un imprenditore di Milano o di Varese, mentre il farmacista o il dottore scomparsi a Bovalino e in altri paesi non facevano notizia. Ancora oggi l’attenzione è molto bassa, e mentre l’informazione guarda altrove la ‘ndrangheta cresce e diventa sempre più potente. “Credo che un indizio importante del disinteresse che colpisce la Calabria”, considera Tizian, “si può notare anche nell’assenza sul posto di redazioni di una qualunque testata nazionale”.

Anche a livello personale sono anni molto difficili per il giornalista, ma l’episodio che sconvolge la sua vita e quella della sua famiglia è l’omicidio del padre Peppe Tizian per mano della ‘ndrangheta. Era il 23 ottobre del 1989. L’assassinio tutt’oggi non ha trovato un colpevole nonostante anche Giovanni, molti anni dopo, abbia tentato di fare luce sul caso mettendo mano ai fascicoli dell’inchiesta. Racconta che un giorno mentre sua nonna si trovava fuori al palazzo di giustizia di Locri le venne detto che “suo figlio, Peppe, era troppo per bene perché qualcuno riuscisse a trovare una pista”. Giovanni lo chiama il paradosso dell’onestà. Eppure nonostante tutto intravede un messaggio di speranza. Recentemente il luogo del delitto – un muretto di cemento lungo la strada – è stato ripulito con la collaborazione delle associazioni “Libera” e “daSud” per lasciare spazio al murale della memoria: “il crimine non paga, la Locride è anti-‘ndrangheta”.

Giovanni Tizian

Giovanni Tizian

Qualche anno dopo l’omicidio la famiglia decide di emigrare a Modena nel tentativo di ricostruirsi una vita normale. Nonostante tutto, l’abbandono della Calabria è uno shock, che porta un desiderio di rimozione durato tutto il periodo dell’adolescenza. Ma Giovanni Tizian non vuole davvero dimenticare e più tardi inizia a ricostruire la sua memoria cominciando dalla madre e la nonna, custodi dei ricordi di famiglia. Tornando alle origini inizia a scrivere della sua terra, delle guerre di ‘ndrangheta, dei criminali ma anche dei tanti esempi di resistenza. Come quello di Lollò Cartisano, rapito nel ’93 perché si era rifiutato di pagare il pizzo. Per dieci anni non se ne seppe più nulla finché il suo corpo venne ritrovato ai piedi del monte Pietra Cappa, cuore dell’Aspromonte e della criminalità. Dal 2008 la “Lunga marcia della memoria”, passando per luoghi simbolo, insieme alle testimonianze dei familiari delle vittime di mafia, termina proprio nel posto di ritrovamento del corpo di Cartisano, ai piedi del monte Pietra Cappa. Questo e tanti altri esempi di resistenza sono le realtà in cui confida Giovanni Tizian. Non bisogna lasciarsi sconfiggere dalla rassegnazione perché, nonostante tutto, le conquiste sono state molte. “Oggi a Sud non è più possibile affermare che la mafia non esiste, mentre a Nord” – dove oggi Tizian vive, scrive e racconta di storie di mafie (anche) al Nord – “c’è ancora tanto negazionismo e non ci si rende conto a pieno del problema”.