Marika Demaria vive e racconta in Valle d’Aosta. Una regione lontana dalle contaminazioni della mafia? Niente affatto. “Mi sono avvicinata al tema delle mafie al nord per il desiderio di riscatto della terra di mia madre, la Sicilia” – racconta la giornalista e scrittrice, autrice del libro in uscita “La scelta di Lea. La ribellione di una donna alla ‘ndrangheta” – “perché troppo spesso il Nord guarda con superiorità al Mezzogiorno sentendosi escluso da un fenomeno, quello della criminalità organizzata, da cui è stato travolto da almeno vent’anni”.

Quella di Lea Garofalo è una tragica storia di dolore, ma anche di amore. Dell’amore di una figlia verso la madre e della madre verso la figlia. È infatti per la “sua” Denise che Lea Garofalo, figlia del boss della ‘ndrangheta Floriano Garofalo, decide di diventare testimone di giustizia. Era il 2002, Lea e Denise vengono sottoposte al programma di protezione.

Lea Garofalo è nata e cresciuta in una delle più importanti famiglie mafiose della criminalità calabrese e appena adolescente si innamora del futuro compagno Carlo Cosco, l’uomo che eseguirà la sua condanna a morte. “L’unione tra Lea e Carlo è un caso esemplare del ruolo fondamentale che svolgono le donne all’interno delle famiglie mafiose” – spiega Marika – “sono il collante, l’elemento di unione tra i diversi clan criminali. All’epoca del loro primo avvicinamento, infatti, i Cosco non erano ancora nessuno, e probabilmente Carlo cercò la relazione con Lea anche per acquistare prestigio e fare strada nella malavita organizzata”. La brutale uccisione di Lea nel 2009, acquista così un significato ben più profondo dell’intento di tappare la bocca a una testimone di giustizia. Il corpo di Lea è stato umiliato, fatto a pezzi in oltre 2800 frammenti ossei. Un’agghiacciante punizione per una donna che aveva osato sfidare l’autorità del capo, un’esecuzione per ristabilire l’onore del proprio nome davanti a sé stesso e al mondo circostante. “Dopo l’iniziale scomparsa della donna, Carlo Cosco organizzò una grande festa nel loro paese di origine, Petilia Policastro, con il pretesto di celebrare i 18 anni di Denise”, racconta l’autrice, “c’erano musica, regali e champagne per tutte le strade del paese, ma Denise non era neanche presente. Lei aveva ben poco da festeggiare”.

La vicenda di Lea e Denise conosce alterne vicende durante i sette anni di vita sotto il programma di protezione, vissuto scappando di città in città in quasi tutta Italia. I processi, la revoca della protezione e il ricorso in appello, la nuova assegnazione del programma e la rinuncia finale. Lea si sentiva sola, stremata, abbandonata. Aveva scritto una lettera al Presidente della Repubblica che il Quirinale dichiara di non aver mai ricevuto. “Ho notato come durante i processi si verifichi un triste paradosso” – testimonia Marika Demaria – “le vittime non hanno nessuno accanto in aula, mentre i carnefici sono supportati da cori da stadio”. Marika ha seguito per due anni ogni singolo processo e ha anche ricevuto pressioni da esponenti vicini ai Cosco: “quando eravamo in aula mi mettevano sotto gli occhi gli articoli che avevo scritto e li passavano agli imputati nelle gabbie, come a dire «sappiamo chi sei e che cosa hai fatto»”.

Una storia di amore e di coraggio. La scelta di Lea ma anche di Denise, che dopo la morte della madre testimonierà in aula contro suo padre davanti all’intera famiglia, ripercorrendo il proprio passato attraverso una strada di dolore e sofferenza. “Io e mia madre siamo cresciute insieme”, confida un giorno la ragazza diciottenne, “avevamo gli stessi vestiti e gli stessi gusti musicali”. Ma nonostante la fine drammatica di Lea, in questa storia si intravedono segnali di speranza. Nel processo, ancora in corso e sempre documentato da Marika Demaria sulle pagine di “Narcomafie”, il comune di Milano si è costituito parte civile e a Monza, nel luogo in cui veniva uccisa, è stata posta una targa in memoria di Lea, la donna che sfidò la ‘ndrangheta.