La legalità, banco di prova della credibilità della cultura di un popolo e della sua Chiesa, è il nuovo nome della carità, afferma don Giacomo Panizza, un prete bresciano che da oltre trent’anni vive in Calabria, dove ha dato vita a una comunità autogestita insieme a persone disabili. È nel mirino delle cosche dal 2002 per essere stato testimone di giustizia contro un clan mafioso e per aver preso in gestione un edificio confiscato.

Da allora vive sotto scorta e anche di recente una delle «sue» case è stata vittima di un attentato (cf. Avvenire del 11/10/2014).Dalle regioni del Sud le mafie hanno accresciuto la loro influenza anche nel resto del Paese e in molti luoghi del mondo mandando in frantumi la coesione sociale, provocando l’impoverimento materiale e spirituale dei territori, lasciando una scia di sangue e di povertà. «È difficile per qualsiasi prete vivere in Calabria senza incontrarle, senza doverci fare i conti, senza denunciarle in qualche predica o inserirle miratamente nella catechesi».Le frasi vigorose pronunciate contro i mafiosi da Giovanni Paolo II e da papa Francesco e gli omicidi di don Pino Puglisi a Palermo e di don Peppe Diana a Casal di Principe ribadiscono un’urgenza non più rinviabile: vincere l’indifferenza e la paura educandoci ed educando all’onestà e alla trasparenza. Un compito che chiede alla società di organizzarsi con pratiche attive della legalità e alla Chiesa di sperimentare interventi corali e una pastorale adeguata.


La mafia sul collo

L’impegno della chiesa per la legalità nella pastorale
Un libro di Don Giacomo Panizza edito da EDB