Trame News

Responsive Image

Numero del

5 settembre 2021

Cambia numero

  • Focus second slide
  • Focus fourth slide

Aggregatore Risorse

Non esiste un pianeta di riserva: le colpe del potere

Condividi:

di Maria Elena Saporito e Lydia Masala

“Parole come crisi climatica, impatto climatico, gas serra sono entrate nel lessico collettivo”. Così Dominella Trunfio apre il dialogo tra Stefano Vergine, giornalista freelance e coautore con Marco Grasso del libro “Tutte le colpe dei petrolieri. Come le grandi compagnie ci hanno portato sull'orlo del collasso climatico” e il Generale Sergio Costa, politico e militare italiano, dal 1º giugno 2018 al 13 febbraio 2021 ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
Il petrolio è intorno a noi in ogni forma, ricorda Trunfio, non è solamente una fonte di energia. Il tema del libro è quindi quanto più attuale e oggetto di riflessione necessaria. Un libro che, spiega Vergine, non contiene notizie esclusive ma cerca di sistematizzare la letteratura in merito: “Siamo in piena crisi climatica, è chiaro a tutti. Non è chiaro però, specie sui media, di chi siano le responsabilità del cambiamento climatico. La narrazione generale è quella secondo cui ognuno di noi dovrebbe fare un piccolo pezzo, la responsabilizzazione è resa collettiva e depositata sulle spalle di ognuno. C’è però un elefante nella stanza: le compagnie petrolifere. Come riporta il libro il 75% delle emissioni cumulate di gas serra dal 1948 al 2015 dipendono dalle emissioni ad opera delle compagnie petrolifere che, oltre al danno la beffa, non sono chiamate a pagare, risarcire o anche solo scusarsi per quanto avvenuto. È documentato che alcune delle grandi compagnie petrolifere come Humble Oil e Shell sapessero già da quarant’anni a questa parte come il cambiamento climatico costituisse una conseguenza diretta delle loro azioni e cambiamento climatico vuol dire morti, morti per colpa delle alluvioni, delle frane, significa migranti ambientali.
Gli stessi big del petrolio, spiega Vergine, sono quelli che alimentano il negazionismo e le fake news attraverso ricerche su commissione orientate al greenwashing. Il settore petrolifero è quello che ha maggiori risorse economiche a disposizione, quindi possibilità di influenzare l’informazione secondo il proprio tornaconto. Avendo creato un filone informativo tanto slegato della realtà quanto appetibile ha facilmente destabilizzato l’informazione con conseguenze che si ripercuotono anche sul dibattito pubblico attuale. “C’è tutta una narrazione dietro alla battaglia rinnovabili-fossili che fa a pugni con la realtà”. Ad esempio, dice Vergine, spesso si dice che le energie rinnovabili necessitano di incentivi pubblici, presunti assenti: guardando ai dati però i maggiori finanziamenti li ricevono i combustibili fossili - 19,6 miliardi su base annua seguiti proprio dai 15 miliardi concessi alle fonti rinnovabili. 
A causa di questa miopia e dell’insabbiamento di dati scientifici che sono oggi sotto gli occhi di tutti, sostiene Vergine, “abbiamo perso quarant’anni di progressi che ci consentirebbero oggi di essere in una situazione ben diversa”. Certo è che la transizione ecologica non può avvenire dall’oggi al domani e proprio per questo non c’è altro tempo da perdere. I tempi della transizione sono tempi lunghi, potrebbero essere necessari decenni – per Costa si parla addirittura del 2050 – e la scelta di utilizzare intanto il gas potrebbe non essere saggia a causa della maggiore quantità di anidride carbonica prodotta.
Ma una transizione ecologica totale, chiede Trunfio a entrambi gli ospiti, è possibile? La risposta è univoca, sì. Vergine spiega, riprendendo i dati dello studio di Marc Jacobson proposti nel libro, che la transizione ambientale sarebbe ripagata in sette anni attraverso il miglioramento delle condizioni di vita e la creazione di milioni di posti di lavoro – i cosiddetti green jobs. Costa è della stessa opinione: nessuno, soprattutto tra gli scienziati che lavorano in sinergia con capi di Stato e di governo, ha mai detto che non sarebbe stato possibile e persino economicamente vantaggioso. Si può fare ed è già stato fatto altrove. Il tema è direzionare i grandi potentati affinché orientino questo sistema verso la direzione green. Forse finalmente qualcosa sta cambiando. “Esiste un percorso che si possa disegnare trasparente, corretto, che salvaguardi il benessere del cittadino, quello collettivo e l’interesse aziendale.”
Tra i focus anche il tema dell’interferenza criminale nel business petrolifero. Il problema, spiega Costa, non è tanto a livello nazionale quanto globale. L’Italia è un paese ricco, tra i venti più ricchi al mondo, tra i grandi del G7 e G20. I sistemi di tutela dalla criminalità organizzata sono presenti in uno stato come quello italiano ma non nei luoghi in cui le priorità sono altre, ancora sul piano della sussistenza e dove quindi la criminalità trova porosità di cui approfittare; quella della criminalità organizzata e dei suoi profitti sul petrolio è una criticità da affrontare globalmente ma che ancora non dispone di strategie globali e congiunte.
“Se siete qui stasera è per partecipare, per sentir dentro tutto ciò, non solo per ascoltare. Noi siamo pionieri in questo”, conclude Costa. Essere pionieri significa quindi mettersi in gioco ed essere riuniti per pensare proposte e soluzioni vuol dire che qualcosa davvero sta cambiando nella sensibilità ambientale di ognuno.
Da segnalare anche l’intervento di Dina Caligiuri, presidente dell’associazione Lamezia Rifiuti Zero, che in quanto rappresentante della società civile richiama l’attenzione sulle colpe della politica, spesso carente di comprensione, coscienza, volontà di comprendere le istanze che provengono dal basso. “Il libero arbitrio dei petrolieri è colpa della politica che non è in grado di porvi un freno”, sottolinea.

Decidere da che parte stare

Condividi:

Nel corso delle prime quattro giornate, il festival Trame.10 ha visto salire sul palco nella sezione “Mani Libere in Calabria: storie di donne e uomini” testimonianze di persone semplici ma coraggiose, che hanno deciso di raccontare le loro esperienze di lotta al racket e all’usura. 
Per concludere il ciclo di incontri, l’ultimo giorno prende parola Maria Teresa Morano, coordinatrice delle Associazioni Antiracket FAI in Calabria, le quali, unite, promuovono il progetto “Mani Libere”.
Il progetto nasce con lo scopo di sostenere chiunque sia vittima di estorsione e usura, fornendo supporto legale, psicologico e finanziario. “Mani Libere” conta su tre sportelli territoriali: Lamezia Terme, Cosenza e Polistena “con il fine di raggiungere il più alto numero di operatori economici possibili, per incrementare il numero delle denunce”.
Maria Teresa Morano continua il racconto  ricordando le testimonianze che si sono susseguite durante i giorni del festival e sottolinea l’importanza di denunciare. Il denominatore comune di tutte le storie è la fermezza con cui tutti hanno identificato nella denuncia l’unica strada percorribile: “denunciare è l’unica alternativa, l’unico modo per essere liberi”. Non si tratta di imprese eroiche, ma di scelte necessarie.
La Morano conclude lanciando un appello: è importante essere chiari e decisi nelle scelte di ogni giorno, bisogna “decidere da che parte stare”. Se si sceglie la strada della denuncia bisogna percorrerla nella sua interezza, contando anche sul supporto di associazioni come quella di “Mani Libere”.

“Colti impreparati”

Condividi:

Di Lorenzo Zaffina e Valentina Ciambrone

Ormai siamo abituati a parlare dell’epidemia di Covid-19: una tragica storia di cui noi stessi siamo i protagonisti e che purtroppo ha ancora un finale in sospeso.  Medici, infermieri, parenti delle vittime, imprenditori, operai e lavoratori, docenti e studenti, ognuno un tassello che compone questa storia.
La giornalista Francesca Nava ha cercato di dare ordine all’ “uragano informativo” che è emerso dalle sue ricerche, per mettere nero su bianco tutte quelle storie di voci che avevano bisogno di essere ascoltate. Partendo da Bergamo, sua città natale, l’autrice è una tra i primi a documentare il fenomeno pandemico e a indagare sulla mala gestione della politica locale, regionale e nazionale a riguardo. 
“Tutto ha inizio in un ospedale in provincia di Bergamo” dove “il focolaio del virus non viene isolato. Segue una catena di altre negligenze, sanitarie e non solo”. Un mancato riconoscimento di un pericolo che ha portato a tragiche conseguenze; quanti morti si potevano evitare?
Elena Stramentinoli  ne hanno parlato con Francesca Nava, autrice de “Il focolaio”, Arcangelo Badolati e Attilio Sabato, autori del libro “Disastro pandemico in codice rosso. La sanità calabrese tra mafie e paradossi”.
L’incontro collega le storie di due realtà italiane, Lombardia da un lato e Calabria dall’altro, simboli di un Paese colto impreparato e rimasto paralizzato di fronte al dilagare della malattia.
La sanità calabrese è messa sotto i riflettori nel libro dei due giornalisti che la definiscono un disastro in “codice rosso”. Il libro denuncia lo stato di abbandono in cui versa la sanità calabrese, bistrattata e calpestata da sprechi, tagli e contraddizioni. Quello che ne risulta è un vero e proprio scenario da incubo. 
E’ un sistema, quello calabrese, che fa acqua da tutte le parti e a pagarne le conseguenze sono  i cittadini: “in Calabria si muore di sanità”.
Quanto descritto dai giornalisti non è una novità: tutti i calabresi sono sempre stati coscienti della gravità della condizione in cui versa la sanità, ma si è sempre voltato le spalle al problema. Il Covid è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, sbattendo la cruda realtà in faccia ai cittadini, che ne hanno pagato caramente le spese.  
I giornalisti calabresi denunciano i danni dovuti allo smantellamento della medicina territoriale in Calabria, nonché il totale fallimento del commissariamento della sanità calabrese. Al di là dell’emergenza pandemica il sistema sanitario è sempre risultato debole e scarno, causa anche della scarsa lungimiranza delle scelte in tema di politica socio-sanitaria.
A tal proposito la giornalista Nava è molto schietta: “Lavorare sulla prevenzione non porta voti ne utili, perciò investire in questo ambito è una scelta estremamente coraggiosa”, ma necessaria per poter riformare un sistema sanitario nazionale, e regionale, che ha dimostrato la sua inefficacia e impreparazione. “Io non mi rassegno” è il grido di speranza che Badolati lancia a termine dell’incontro: un vero e proprio mantra per convincere i calabresi a non darsi per vinti e a lottare per una sanità che curi veramente tutti.

La mafia trasparente

Condividi:

di Gilberto Villella e Ilenia Ciambrone

Durante l’ultima giornata del festival Trame.10 Attilio Bolzoni e Giacomo di Girolamo ci hanno intrattenuto con alcuni passi in cui spiegano, attraverso poesie e racconti di cronaca, la “mafia trasparente”: una mafia non più di stragi e omicidi ma una inserita ormai in ogni svariato settore.
La mafia attualmente è violenza di relazione e, citando Leonardo Sciascia, i due giornalisti ricordano un parallelismo tra le mafie e le palme, secondo cui ogni anno, quest’ultime vivono e prosperano sempre più a nord e prima o poi cresceranno in tutto il mondo. Ma oramai le palme non esistono più in quanto il punteruolo le fa appassire. In questa metafora il punteruolo rappresenterebbe proprio la mafia trasparente, la “Cosa Grigia”, che ha mangiato la linfa vitale della mafia tradizionale e si è insidiata in tutte le cariche importanti del sistema. 
In tutto questo ordimento anche noi abbiamo il dovere di fare la nostra parte non continuando a pensare all’apparenza, come se la cosa fondamentale fosse sentirsi persone per bene, ma iniziare a ragionare e capire che pensare è un impegno. Con tutto ciò abbiamo gonfiato il petto di retorica ma perso il senso di agire. Capovolgiamo lo storico del nostro paese: fino ad ora c’è stato troppo silenzio e proprio per questo gli autori ci invitano a contribuire ad una “rivoluzione” in cui si sceglie arbitrariamente di rifarsi alla memoria.

Uno su un milione ce la fa

Condividi:

di Jacopo Saturno, Chiara Grutteria e Paola Costanzo

Nella quinta e ultima giornata di Trame 10 abbiamo assistito alla testimonianza e alla presentazione del libro del giornalista Gigi Riva “Non dire addio ai sogni”, intervistato da Stefano Vergine, autore del documentario realizzato insieme a Raffaele Manco, trasmesso subito dopo l’intervista, dal titolo “Il Fenomeno. Il traffico di baby calciatori". 
Quando romanzo e realtà si incontrano nasce un capolavoro letterario. Ed è proprio questo il caso del libro di Riva, che sceglie la forma del romanzo per racchiudere un fenomeno che contempla molteplici realtà. Da giornalista si reca in Africa raccogliendo materiale, per anni studia il caso del traffico di baby calciatori, una vera e propria schiavitù contemporanea che riguarda gran parte della popolazione minorile proveniente dai paesi più poveri dell’Africa. Centinaia di testimonianze mettono in luce la difficoltà e la fatica di molte famiglie a mettere da parte ingenti somme di denaro, lo stesso denaro che arriva in mano a truffatori e falsi procuratori che mandano in fumo non solo i sogni di un ragazzo ma anche la sua vita. L'ONG francese Foot Solidaire stima che ogni anno almeno quindicimila ragazzi conoscono questo destino. 
La parola chiave di questo festival è “Resistenza", ed è la parola chiave anche di questo saggio presentato da Riva, la stessa resistenza che Amadou acquisisce per far sì che il suo destino e i suoi sogni non sfumino via. L'autore rivela che, per il riscatto di Amadou, si è ispirato ad una vicenda avvenuta in Calabria e riguarda un sacerdote che, avendo recuperato ragazzi truffati allo stesso modo, li allena per farli arrivare in terza categoria. 
Una storia di coraggio e passione, la testimonianza vivida di un ragazzo che a soli quattordici anni ha davvero vissuto sulla sua pelle la crudeltà e la complicatezza di molte situazioni: la migrazione, la miseria, l’estremismo, la pedofilia, la droga, il carcere, la malavita, ma anche l’amore, la voglia di riscatto e la speranza.
Tutta questa storia del traffico di minori nasce dal fatto che è illegale far spostare bambini e ragazzi per motivi calcistici, questo fattore facilita i falsi procuratori ad adescare quanti più giovani possibili che non vedono l’ora di vivere immediatamente il loro sogno come i grandi calciatori africani che ce l’hanno fatta. L’Europa viene vista come l’El Dorado, e questo spinge molte famiglie a fidarsi e a mandare i loro figli in un altro continente, quindi la speranza parte proprio da loro. Ed è proprio per loro che chi sopravvive alla traversata e si rende conto di essere stato raggirato, viene sopraffatto da sensi di colpa. Come afferma Riva durante l’incontro: “esiste un senso di colpa del truffato che è superiore a quello del truffatore. Tradire il sogno dei genitori è molto più difficile che tradire il loro sogno”. 
Ma questo fenomeno è conosciuto in Africa? Sì, infatti a novembre dell’anno scorso sulle prime pagine dei giornali senegalesi è comparsa la storia di un ragazzo di 14 anni, come Amadou, che era stato truffato da finti procuratori per poi morire durante il viaggio. Nonostante questo continuano ad essere molte le partenze per l’Europa. E chi ce la fa? Sono in pochi, tutti risultano tesserati per la prima volta in Europa, come se il loro passato e le loro origini venissero cancellate, infatti coloro che li hanno formati dall’inizio non ricevono alcun contributo. Mentre da noi esiste il meccanismo della formazione, quindi viene riconosciuta una percentuale delle successive vendite a chi ha formato il calciatore, in Africa no. Questo perché falsificano i documenti.  
Durante l’incontro viene esposta una soluzione legale al problema: c’è la legge che vieta ai minorenni di attraversare il Mediterraneo, ma c’è anche quella che consente di farlo accompagnati dalla famiglia dando loro un visto e un lavoro. Perciò si potrebbe spendere un paio di soldi in più e fare le cose in modo legale ma per risparmiare non si fa.  
L’incontro prosegue col documentario "Il Fenomeno. Il traffico di baby calciatori”, in cui sono state messe per immagini le parole di Amadou e la sua esperienza, attraverso le testimonianze di giovani come lui partiti con un sogno e arrivati con niente. Immagini nitide e vive di ragazzini che giocano con negli occhi un sogno, una speranza, di madri che guardano i figli giocare e la voglia di realizzare i loro sogni nonostante la paura di vederli andare via, e poi gli occhi pieni di lacrime di quelli che hanno capito di essere stati ingannati, quel senso di colpa che li divora per aver deluso le loro famiglie.  
Il documentario tratta anche l’inchiesta che ha coinvolto la squadra di Prato. L’indagine ha ricostruito, partendo dalla denuncia dell’allenatore Gbane, la tratta di esseri umani attraverso la quale sono arrivati in Italia diversi ragazzi, tra cui il celebre calciatore della Fiorentina Kouamè. 
L’inchiesta è terminata con il rinvio a giudizio di Toccafondi, Alessio Vignoli, Trefoloni, e altri. 
Questo evento lascia la consapevolezza che ancora sono tanti i fenomeni da risolvere e su cui prestare attenzione. Fenomeni che pensiamo non riguardino noi in primo luogo quando in realtà succedono anche e proprio nel nostro paese.