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1 settembre 2021

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Io posso, perché io sono lo stato e tu no

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di Lorenzo Zaffina e Valentina Ciambrone

“Io posso” è la tipica frase usata dalle figure malavitose per mettere in evidenza la loro superiorità rispetto alla legge. 
Da questa frase prende il titolo il libro “Io posso. Due donne sole contro la mafia” di Pif e Marco Lillo, vicedirettore del Fatto Quotidiano, raccontato nella prima giornata di Trame.10 in piazzetta San Domenico, a Lamezia Terme.
Il libro racconta la storia delle sorelle Pilliu, che nel 1990 furono capaci di opporsi a Pietro Lo Sicco, un costruttore legato alla mafia che voleva a tutti i costi espropriarle da casa propria, a Palermo, per poter costruire un palazzo abusivo.
Corruzione, prevaricazione e prepotenza furono i mezzi utilizzati dal costruttore per raggiungere il fine. Solo successivamente si stabilì che il palazzo dovesse essere abbattuto e alle sorelle fu riconosciuto un risarcimento di 780 mila euro. Ma di questa storia, che ha dell’incredibile, fu fatta giustizia solo in parte: Lo Sicco, essendo stati tutti i suoi beni sequestrati, non riuscirà mai a ripagare i danni.  Anzi alle sorelle sarà chiesto dall’agenzia delle entrate il 3% di tasse sul risarcimento mai ricevuto.
Il libro vuole perseguire una duplice finalità, spiega Pif, quella della denuncia sociale, e quella di contribuire, con i ricavati delle vendite del libro, alla raccolta fondi necessaria a saldare l’ingiusto debito. 
Sogno degli autori è anche quello di ricostruire le palazzine diroccate, simbolo di uno Stato che non è riuscito a farsi valere. “La voce delle sorelle Pilliu è anche la nostra, perché ognuno di noi ha un costruttore contro cui lottare a testa alta”.
Il titolo del libro può assumere dunque un nuovo significato. Basta un po’ di speranza: “Io posso, perché io sono lo Stato e tu no”  può diventare il grido di battaglia dei cittadini onesti che contano sul supporto dello Stato.

Non chiamateli eroi - Nicola Gratteri ne parla con Alessia Candito

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di Maria Elena Saporito, Ilenia Ciambrone, Paola Costa

Nicola Gratteri, procuratore della Repubblica di Catanzaro presenta a Trame.10 “Non chiamateli Eroi. Falcone, Borsellino e altre storie di lotte alle mafie”. Un titolo che il procuratore sintetizza in quelle che definisce come le direttrici del suo lavoro: il senso dello Stato, l’orgoglio dell’appartenenza e la voglia di fare. Caratteristiche che per Gratteri devono guidare ogni calabrese, in una terra in cui la politica è spesso presente sul territorio solo poco prima delle elezioni e che diventa ambiente fecondo per i capimafia. Negli anni il consenso e il desiderio di giustizia nella popolazione siano cresciuti, sebbene a questo non siano corrisposte adeguate reazioni da parte delle istituzioni. Gratteri definisce la Riforma Cartabia “un disastro”, in particolare sull’improcedibilità che impedisce che il 50% dei processi si concluda con sentenza definitiva. La classificazione dei reati esclusi da improcedibilità risulta infatti insufficiente e non tiene conto di tutti quei “reati da colletto bianco” che spesso fungono da reati-spia rispetto a fattispecie più oscure. Il procuratore è critico anche rispetto alla proposta di legge sulle intercettazioni che, imponendo che sia il PM a monitorarle e valutarne i contenuti, dilata ulteriormente i tempi di indagine e ha l’effetto opposto a quello auspicato dalla Riforma Cartabia. Gratteri definisce preoccupanti i legami tra criminalità organizzata e mondo delle professioni, che rischiano di minare l’utilizzo a beneficio dei calabresi dei fondi allocati dal PNRR. A tale scopo, sottolinea ancora Gratteri, è necessario che le amministrazioni si dotino di personale qualificato e che non mirino a tornaconti personali. Per vincere la battaglia contro la criminalità organizzata non basteranno forze dell’ordine e le procure: serve la partecipazione di tutti, dai professionisti all’associazionismo, dai cittadini che non sono solo eroi ma prima di tutto persone che amano in modo viscerale la propria terra.

Come nasce un giornale.

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di Alessia Sauro e Chiara Grutteria

“Una follia: fondare un giornale di carta”. Esordisce così Giovanni Tizian, nuovo direttore artistico del Festival Trame e giornalista de “Il Domani”, nella discussione su “come nasce un giornale” con i giornalisti Nello Trocchia ed Emiliano Fittipaldi. “Normalmente le testate scrivono di eventi che accadono il giorno prima e nei giorni successivi la notizia scompare, senza informare a pieno il lettore. L’obiettivo de “Il Domani”, invece, è di ricercare e attivare inchieste, per approfondire situazioni lasciate in sospeso, per questo si è deciso di pubblicarlo in maniera cartacea e non solo online”. Il quotidiano Domani vuole essere un giornale internazionale che dia risalto al sud e in particolar modo alla Calabria, raccontando senza paura del potere criminale.  Prende la parola Emiliano Fittipaldi, vicedirettore della testata, che si è detto sorpreso dalla buona riuscita del giovane progetto e dalla squadra esterna di “inchiestisti” creata, con Attilio Bolzoni e Andrea Palladino, che punta al buon giornalismo creando un forte ritorno mediatico. Tra i loro propositi c’è anche quello di dimostrare che spesso politici e potenti sono coinvolti in affari loschi, che il popolo non conosce, o raccontare dei soggetti mai stati intervistati e dare delle immagini che vanno oltre i comunicati stampa. E’ così che Nello Trocchia introduce al documentario su Matteo Messina Denaro “ Il superlatitante” che è uno speciale prodotto da Videa Next Station per Discovery Italia che sarà proiettato a Trame oggi, 2 Settembre. A concludere l’incontro è l’invito rivolto dai giornalisti al pubblico: ricercare una sana informazione, perché la conoscenza rende liberi da ogni ricatto.

Le fragole d'inverno: il clima, i migranti, la filiera agricola

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di Lydia Masala e Jacopo Saturno

“Abbiamo considerato la terra come un luogo da spremere il più possibile” così Fabio Ciconte, autore del libro “Fragole d’Inverno” e direttore dell’associazione ambientalista Terra sul palco di Trame, insieme a Celeste Logiacco, segretaria generale della CGIL della Piana di Gioia Tauro e la giornalista Mariangela Paone discutono  di come la questione climatica e il lavoro nero abbiano una matrice comune: lo sfruttamento forsennato delle risorse naturali.

“Ci troviamo davanti ad una reazione a catena dove l’utilizzo del suolo adibito alla produzione agroalimentare è imputabile del 23% delle emissioni di anidride carbonica, il 37% se consideriamo  le attività ad essa connesse quali trattamento e trasferimento dei prodotti. In questi termini la produzione di filiera diviene una determinante del surriscaldamento globale, costringendo il settore agricolo ad adattarsi. Parliamo di hotspot climatici dove i cambiamenti climatici si manifestano con più virulenza rispetto ad altri luoghi.In questo sistema malsano, i produttori sono costretti a sottostare ai prezzi al ribasso imposti  dalla grande distribuzione, ripercuotendosi sui lavoratori.” In questa situazione prolifera il caporalato: lavorare sotto caporale in agricoltura, continua Celeste Logiacco, “vuol dire pagare il pizzo ai caporali, guadagnare il 50% rispetto a quanto previsto da contratto.”

  Il 95% dei contratti, aggiunge Ciconte, sono “in grigio”, ovvero l’imprenditore riporta il numero di ore lavorate necessarie a legalizzare il contratto, pagando in nero la differenza concordata col lavoratore. 

Conclude l’incontro la Logiacco con il racconto della sua esperienza sindacale nel territorio della Piana di Gioia Tauro, dove lo sfruttamento dei braccianti è la normalità: attraverso la creazione del sindacato di strada e dell’istituzione di sportelli in luoghi strategici, ha sensibilizzato e reso disponibili servizi che normalmente vengono negati a queste categorie di soggetti. Evidenzia come il problema, trattato in termini emergenziali, sia in realtà strutturale e necessiterebbe di un differente approccio istituzionale.

Usura: una violenza dell’anima “Dove non arriva lo Stato, arriva la criminalità”. 

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di Valentina Ciambrone e Lorenzo Zaffina


E’ questo il concetto da cui è partito il primo incontro in programma della decima edizione del festival Trame “L’impresa stretta dell’usura mafiosa al tempo del covid”. A dialogare con  la giornalista Tiziana Bagnato, sono Mariano Bella del Centro Studi Confcommercio e Luigi Ciatti, coautore, insieme a Salvatore Giuffrida, del libro “La mano nera”. L'usura raccontata da chi è caduto nelle mani di strozzini e clan (Infinito Edizioni). Il libro, che è stato il filo conduttore dell’intero incontro, è un viaggio nella storia dell’usura raccontato dalle voci di chi ne è stato vittima.  Si tratta di un fenomeno che non risparmia nessuno e che, direttamente o indirettamente, coinvolge l’intera società e viene descritto dagli ospiti sotto due diversi punti di vista: quello statistico e quello sociale. Mariano Bella presenta i risultati delle indagini condotte dal centro studi sugli effetti della pandemia sull’incidenza del fenomeno usura sul territorio. Ne emerge una realtà devastante: i casi di usura stimati sono in contrapposizione al basso numero di denunce effettive, che dunque rappresentano una sottostima del fenomeno (9-15% delle p.m.i. del terziario di mercato è ad altissimo rischio di usura).Luigi Ciatti fornisce una visione più umana del fenomeno, condividendo la drammaticità della vita delle vittime di usura, considerata una vera e propria “violenza dell’anima”.Per riappropriarsi della vita e slegare il “nodo” che tiene legata la vittima all’usuraio, esistono due vie: denunciare ed educare. Denunciare chiedendo l’aiuto delle associazioni apposite, sempre più numerose nel territorio, ed educare partendo da progetti di formazione sulla gestione responsabile del denaro.

Resistere. Parte la decima edizione di Trame.Festival

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di Maria Elena Saporito

Prende il via la decima edizione di Trame. Una decima edizione che, come ricorda Cristina Porcelli, direttrice della Fondazione Trame, “è stata attesa e organizzata da una comunità fatta di persone che scelgono di stare dalla parte della legalità e della giustizia”. Fondazione Trame, Ala Antiracket, Comune di Lamezia Terme, Confcommercio Imprese per l’Italia sono i promotori dell’evento unitamente alla comunità cittadina e ai volontari. Dopo i saluti istituzionali del Commissario prefettizio di Lamezia Terme Giuseppe Priolo e del prefetto di Catanzaro Maria Teresa Cucinotta, il giornalista Giovanni Tizian, direttore artistico di Trame.Festival, ricorda la parola d’ordine dell’edizione: resistere. “Resistere per ricominciare” è il perno intorno al quale gira il programma di quest’anno. E di resistenza sul territorio è testimone Deborah Cartisano presente all’inaugurazione, figlia di Adolfo Cartisano detto Lollò, fotografo bovalinese sequestrato e barbaramente ucciso dalla ‘ndrangheta a seguito del rifiuto di piegarsi al racket.  Cartisano, come ricorda la figlia, non è stato nel tempo l’unica vittima di ‘ndrangheta a Bovalino. Ciò ha risvegliato una coscienza comune e imposto di “scendere in piazza per dire che la maggior parte dei calabresi sono onesti” con la fondazione del comitato “Per Bovalino Libera” e l’istituzione della marcia “sentieri della memoria” che da diciotto anni riunisce centinaia di persone ogni 22 luglio, data del sequestro di Cartisano nel 1993. I sentieri sono definiti come un “pellegrinaggio laico in cui si tocca il dolore ma anche la speranza”, chiedendo che la memoria delle vittime di mafia diventi patrimonio di conoscenza e memoria per tutti. L’imperativo di ricordare, conclude Tizian, si concretizzerà anche attraverso il lancio di una petizione per riaprire le indagini sull’omicidio dei due netturbini lametini Pasquale Cristiano e Francesco Tramonte, avvenuto nel 1991 e per cui non ci sono ancora state condanne. Questa battaglia è importante per la città, per la verità e per il paese. Presenti all’inaugurazione anche il Vescovo Schillaci, e i vertici delle forze dell’ordine.