Scavando piú a fondo, si arriva a un livello in cui la vita umana si limita a ronzare come un frigorifero, rumore indistinto fra gli altri rumori della notte, e ispira solo indifferenza.
Ma a un livello ancora piú profondo, piú vicino al nucleo, la vita umana fa ridere. Un riso cretino, come quando Stanlio e Ollio combinano un guaio.

Morire da un posto e rinascere in un altro, senza rimpianti. Spostarsi come spostano i soldi: in un lampo, senza nemmeno vederli. Ma Toro è uno che ha sempre maneggiato contanti. Ha le mani grandi come badili. Il corpo di chi lavora, da generazioni, anche se non ha lavorato mai. Le uniche cose pesanti sono stati i soldi, mucchi di soldi. E il continuo problema di trovare sacchi, valigie, cantine, bagagliai, posti capaci di contenere tutti quei soldi. Fare attenzione all’acqua, il fuoco, gli animali, le muffe. Il vento e la pioggia. E il dubbio di averne dimenticati un po’, da qualche parte. E non riuscire a ricordare dove. Toro non sa sparire.
Per quelli come lui l’unica latitanza è nascosti in un bunker, sottoterra, vicino a casa. Vicino a un figlio, sepolto
poco lontano.

Il libro

Pagine tratta da “Il Popolo di Legno”
Autore: Emanuele Trevi
Editore: Einaudi
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Ha un corpo magro e muscoloso, il talento del predatore e, negli occhi, il potere di soggiogare chi gli sta intorno. Lo chiamano il Topo, fin da quando era bambino. Vive in una Calabria lontana da qualunque realismo geografico. Ha una moglie, Rosa, meraviglioso «mare di carne» mai sfiorato da un’opinione, e un amico: il Delinquente. È proprio il Delinquente, fragile, sottomesso direttore artistico di Tele Radio Sirena, a fornirgli l’occasione per condurre un programma: Le avventure di Pinocchio il calabrese. Una serie di prediche rivolte al «popolo di legno», che diventano il ritratto dell’umanità stessa, schiacciata dall’idea di colpa e sacrificio, e nonostante tutto incapace di salvarsi.

Anarchico, ribelle, scorretto, il romanzo di Emanuele Trevi ci fa vedere il mondo con gli occhi di un personaggio infimo e irresistibile, che non ha paura di svelare quanto assurda sia la convinzione degli esseri umani di poter migliorare la propria vita. Nella cupa ilarità dei sermoni del Topo, il protagonista, vibra un sentimento dell’esistenza che non lascia spazio alla redenzione. I suoi strampalati monologhi radiofonici trovano un immediato successo di folla. In un sorprendente ribaltamento ironico, il Topo diventa il profeta di una paradossale innocenza collettiva.