Carmelo Sardo, Maurizio Torchio e le loro rispettive ultime fatiche, Cattivi e Per una madre, inaugurano Palazzo Nicotera nella prima giornata della sesta edizione di Trame Festival, in un incontro moderato da Livia Blasi, telegiornalista del TGR. Protagonisti dei romanzi sono i captivi, latinismo che rimanda agli uomini e alle donne in cattività, in quelle che sono le odierne carceri.
L’approccio alla scrittura da parte dei due autori è diverso, le storie stesse sono molto diverse, ma dalla conversazione è emerso che quando si tratta di raccontare dell’uomo e della condizione in cui si è trovato a vivere, la stessa in Per una madre e Cattivi, cioè quella carceraria, allora la linea di separazione si assottiglia. Torchio parla del rapporto sentimentale uomo-donna, della difficoltà, talvolta impossibilità, di riallacciarlo perfino al momento del ricongiungimento, all’apparenza il più opportuno e facile perché questo avvenga. Sardo, invece, racconta di come l’unione sessuale sia in alcuni casi necessaria e impellente, al punto tale da consumarla anche nei momenti meno opportuni, come nell’episodio presente nel suo romanzo, e sorprendentemente di matrice tutta autobiografica, quella di un ragazzo che a vent’anni, nella Sicilia degli anni ’80, ha svolto il servizio militare negli agenti di custodia, presso il carcere dell’isola di Favignana, un lavoro che lo ha tenuto a stretto contatto con gli ergastolani ostativi, al punto tale da assistere al concepimento di un figlio fra il detenuto e sua moglie. Fiction e non-fiction si intrecciano in Per una madre, che altro non è se non la storia del figlio nato proprio da quel concepimento.
, afferma lo scrittore Carmelo Sardo, per il quale l’esperienza personale è fondamentale e ne si ritrova traccia nei sogni che fa il protagonista sulla madre morta, che altro non sono che la trasposizione onirica della perdita della madre in giovane età, un distacco incompleto, un legame che ancora sopravvive e anzi vive.
Una capillare documentazione, lunghe conversazioni, passate e recenti, con carcerati ed ex, hanno dato vita a due romanzi dove forte è il legame fra verità e immaginazione, perché forte è l’interesse per le parole in un posto svuotato che, come ha osservato Torchio, in un carcere hanno la capacità di assumere autentico valore.
L’ultima riflessione è dedicata a un passo di Cattivi: «La fiducia è una secrezione inevitabile, se la tieni troppo dentro finisce per far male». La fiducia è di fatti un reale problema che affligge le guardie giurate, per via della categorica impossibilità che questa si instauri con i detenuti. Se da un lato rappresenta una forma di tutela, dall’altro arreca inevitabilmente un malessere interiore, di cui poi sono soprattutto le famiglie a subirne le conseguenze. Sembra proprio che per finire a esser captivi non sia necessario vivere dietro le sbarre.