“Questo è il primo libro che, chi voglia avvicinarsi al tema ‘ndrangheta, deve leggere: fornisce in modo snello tutta una serie di verità rispetto al fenomeno”. Così esordisce Claudio Cordova, giornalista de Il Dispaccio riferendosi al libro di Francesco Forgione, deputato e presidente della Commissione parlamentare antimafia, La ‘ndrangheta spiegata ai turisti.

Un titolo accattivante, ironicamente amaro, che origina da un mafia-tour: “qualche mese fa un grande tour operator americano, per organizzare visite a Palermo, aveva scelto come guida il figlio di Provenzano. A un figlio non si può chiedere di rinnegare il padre in quanto padre, ma in quanto boss” spiega l’autore del libello edito da Di Girolamo, sulla scia di La mafia spiegata ai turisti. Un dialogo immaginario tra lo scrittore e un generico turista, che si conclude con un invito: Buon viaggio in una terra bellissima… Ad intervenire nel dibattito anche Mario Spagnuolo, procuratore di Vibo Valentia: “Iniziamo a ragionare con la testa di chi viene qui e si proietta in questa realtà, che vede estranea fino ad un certo punto, ma soprattutto a comunicare loro che la mafia non è un problema calabrese, ma sta diventando mondiale. L’operazione di contrasto al crimine organizzato simbolicamente si fa anche ad Oslo e Madrid. Vi stiamo rendendo complici di un problema che è anche nostro e la globalizzazione di questi problemi è qualcosa su cui dobbiamo ragionare”.

Forgione esorta a una buona informazione, ad un giornalismo che non subisca il fascino della propaganda, ma che sperimenti il “gusto dell’analisi”, perché “la forza della ‘ndrangheta è non farsi rappresentare” e nostro è il compito di svelarla. Di fronte alla dizione usata da Cordova di “massondrangheta”, l’autore restituisce carica semantica alla definizione di ‘ndrangheta: “una organizzazione criminale dinamica che ha avuto bisogno di creare una nuova situazione politica, che ha saputo costruire una duplicità istituzionale”.

Il procuratore, lavorando sulle dichiarazioni di fallimenti, spiega al pubblico di aver scoperto una lunghissima serie di società create apposta per generare buchi fiscali, facendo restare in stallo i debiti demaniali, anche col consenso di Equitalia. Allude in punta di piedi anche al problema dei migranti, oggetto d’indagini ancora in corso, senza risparmiarsi la denuncia di aporie: “non è più sufficiente l’intercettazione. Non siamo ancora in grado di rispondere al salto qualitativo della ‘ndrangheta. Occorre un focus sul problema e una cultura dell’investigazione che si sta formando, ma che non è ancora sufficiente”. Forgione, lapidariamente, attiva le coscienze: “Intellettuali non pervenuti. Dov’è il dibattito sul Mezziogiorno? L’università, la politica, il giornalismo non se ne occupano. C’è un problema della società civile”. Ci interroga tutti: perché a Gioia Tauro in campagna elettorale nessuno ha pronunciato la parola “mafia”, ancora tabuizzata? La politica e la magistratura assicurano autonomia e indipendenza? E noi cittadini cosa siamo disposti a fare? Ad un anno dalle parole di papa Francesco in terra di ‘ndrangheta ancora adorazione del male e disprezzo del bene comune. Spagnuolo lamenta la decadenza delle elite in senso gramsciano, ma forse le crisi possono rivelarsi punti di svolta: “Progressi sono stati fatti nella repressione, nel ruolo della stampa e dell’informazione. La ‘ndrangheta non vive più nel cono d’ombra, ma c’è anche bisogno di una cultura critica. Se questa viene meno la lotta è solo repressione e azione penale. La società è fatta da un noi collettivo e non da tanti io individuali”. Il veleno che si fa farmaco, dalla fine un nuovo inizio.