“Non esistono terrorismi buoni e terrorismi cattivi. Il terrorismo non è accettabile in nessun caso”. Ha parlato così Rosario Aitala, durante la quarta giornata del festival Trame, per presentare “Il metodo della paura. Terrorismi e terroristi” (edito Laterza), in un dialogo con Andrea Di Consoli.
Il libro, partendo dalle origini del terrorismo, spiega come questo fenomeno fondato sulla paura venga sfruttato per ottenere obiettivi di carattere politico ed ideologico.
“La nostra paura è sempre stata utilizzata in politica” ha spiegato Aitala, “ma il suo utilizzo sistematico è avvenuto per la prima volta durante la Rivoluzione Francese”. Infatti, lo sfruttamento del “terrore” durante il regime di Robespierre veniva considerato inizialmente come un potere legittimo, un potere che però degenerò facilmente in follia. Fu allora, secondo Aitala, che il termine “terrorismo” si è tinto di sangue, assumendo il significato che oggi tutti gli attribuiamo.
Il terrorismo non è una categoria universale, ma è un fenomeno relativo e controverso, dalle molteplici declinazioni. Fa leva sulla paura in diversi modi: da un lato, il “terrorismo cruento” agisce macchiandosi di omicidi e mascherandosi sotto la veste di dovere patriottico o religioso; dall’altro il “terrorismo psicologico” opprime la libertà di pensiero e di espressione raggiungendo gli stessi risultati.
“Si tratta solo di metodi efficaci per ottenere il potere” ha dichiarato “Chi uccide indistintamente non fa un servizio al suo popolo o ad un’ideologia, chi fa questo è un barbaro e non ha giustificazioni”.
L’autore ha posto poi l’attenzione sugli eventi di matrice terroristica che hanno interessato l’Europa negli ultimi anni, dichiarando che l’unico vero attentato strutturato è stato quello di Parigi.
Nelle motivazioni che spingono gli attentatori a compiere questi gesti si intrecciano dinamiche psicologiche e sociali molto complesse. Spesso si tratta di giovani che sono cresciuti in contesti violenti, che vengono spinti all’odio dalla famiglia, o che si sentono isolati e trovano in atti estremi l’unico modo di dimostrare la loro esistenza.
“L’emarginazione produce criminalità” ha concluso l’autore “la società occidentale deve comprendere di aver fallito e cercare di rimediare per prevenire la diffusione di un fenomeno che sconvolge le vite di tutti”.